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Il Bauhaus e le donne
Apprendiste cercansi (ma senza esagerare)

© Juan Camilo Roa 2018

Sul rapporto tra donne e Bauhaus circolano diversi miti. Secondo la scrittrice Theresia Enzensberger l’atteggiamento di quella scuola nei confronti della parità dei sessi è stato senz’altro moderno, ma il gesto inclusivo è rimasto parziale.

Di Theresia Enzensberger

Quando il fenomeno #MeToo è rimbalzato nel mondo dell’arte, si è scritto: “Non ci sorprende che i curatori offrano mostre o supporto aspettandosi in cambio prestazioni sessuali. Non ci sorprende che i galleristi giustifichino comportamenti sessuali scorretti da parte dei loro artisti con forme di romanticismo, oppure minimizzino o li coprano, né che un collezionista o un potenziale sponsor proponga un incontro con secondi fini, né che qualcuno si vendichi se non ci sottomettiamo. L’abuso di potere non è una sorpresa”. La lettera aperta, pubblicata su The Guardian il 30 ottobre 2017 a firma di migliaia di persone legate al mondo dell’arte, dimostra con chiarezza quanto fosse ormai urgente anche in questo settore un dibattito pubblico sui rapporti di potere. Eppure, negli ambienti artistici alcuni fattori rendono particolarmente difficoltosa quest’elaborazione: il mito del genio, ad esempio, il capitale sociale occulto, o il fatto che l’avanguardia si considera particolarmente progressista e quindi è relativamente in impaccio anche solo a considerare la possibilità che tra le sue fila possano registrarsi casi di sessismo o abuso di potere.
 
Queste zone d’ombra non sono una novità. Oggi il Bauhaus viene considerato una delle maggiori istituzioni della modernità, pioniere dell’edilizia sociale, una scuola progressista, una fabbrica di talenti. Tutto vero, ma è una visione incompleta. Quando Walter Gropius fondò la scuola a Weimar nel 1919, nel suo programma scrisse: “Sarà ammessa come apprendista qualsiasi persona eticamente integra, indipendentemente da età e sesso, qualora il “collegio dei maestri” ne valuti positivamente l’inclinazione e la formazione antecedente”. Il predecessore del Bauhaus, la Scuola Superiore d’arte del Granducato di Sassonia a Weimar, era una delle poche accademie d’arte che accettava le donne già prima della nascita della Repubblica di Weimar. L’annuncio di Gropius riscosse grande favore: nel semestre estivo del 1919 la quota femminile tra gli studenti ammessi, con 84 donne rispetto a 79 uomini, superò il 50%. Il collegio dei maestri, però, si trovò impreparato di fronte a un’affluenza tanto massiccia, per cui Gropius pretese una “rigida selezione subito dopo l’ammissione, soprattutto per la presenza numerica eccessivamente elevata del sesso femminile”. Una selezione che si concretizzò nell’orientamento delle donne verso materie di loro competenza e nel loro confinamento nel laboratorio di tessitura, che per un periodo venne anche chiamato “sezione femminile”.
 
Alcune accolsero positivamente il contesto operativo: gli altri maestri, per lo più, non interferivano nell’attività del laboratorio e l’aria che vi si respirava era di autodeterminazione e solidarietà. A Gunta Stölzl, che nel 1920 assunse per un breve periodo la direzione della “sezione femminile”, era congeniale l’orientamento tessile, in cui trovavano perfetta rispondenza talento personale e compiti da svolgere. Nel 1927, su richiesta delle studentesse, divenne “Jungmeisterin”, giovane insegnante, e perciò anche unica direttrice responsabile della sezione tessile. Rimase anche l’unica insegnante donna del Bauhaus. Anni Albers, che originariamente voleva diventare pittrice, trovò nell’arte tessile lo strumento per esprimere la propria creatività: sperimentò l’astrazione, seppe trarre ispirazione dalla rigida griglia del telaio e fu estremamente innovativa nell’approccio con i tessuti, concludendo gli studi nel 1930 con la realizzazione di una tenda in cotone e cellophan fonoassorbente e in grado di riflettere la luce.
 
Non tutte le donne, tuttavia, accettarono volontariamente l’orientamento alla tessitura, e per effetto della selezione voluta da Gropius il numero delle donne iscritte al Bauhaus diminuì costantemente. La tessitura venne considerata una forma di artigianato artistico e quindi relegata alle posizioni più basse nella gerarchia dell’arte e del design. Eppure, per ironia della sorte, il laboratorio di tessitura fu per lungo tempo l’unico a fare profitti, andando quindi a co-finanziare le digressioni artistiche delle sezioni di dominio maschile.
 
L’opinione di Oskar Schlemmer, maestro della forma della sezione di pittura murale, era questa: “Dove c’è lana, c’è anche una donna che tesse, anche solo come passatempo”. Ma nel suo laboratorio si fecero strada anche delle donne, ad esempio Lou Scheper-Berkenkamp, che nonostante le istruzioni del maestro artigiano riguardo all’aerea esterna, riservata agli uomini, si vedeva spesso sulle impalcature. Anche Marianne Brandt seppe conquistarsi un posto nel settore prettamente maschile dell’officina metallurgica, realizzando alcuni dei prodotti di design più noti del Bauhaus, come il posacenere tondo con il foro triangolare o la teiera MT49, per citare due esempi. Neppure l’apprendistato nella sezione edile, fondato soltanto nel 1926, rimase inviolato dalle donne: la prima ad esservi ammessa fu Lotte Stam-Beese nel 1928, benché l’insolito evento fosse stato preceduto da una sua relazione con Hannes Meyer, il nuovo direttore del Bauhaus, e concluso a svantaggio della studentessa, che quando la relazione divenne pubblica fu invitata a interrompere gli studi.
 
Queste ammirevoli combattenti solitarie non ebbero vita facile. Una sezione del Bauhaus in cui le differenze di genere non erano state definitivamente sancite, e che quindi dava una certa libertà alle donne, era la fotografia. In quest’ambito, quindi, donne come Gertrud Arndt e Lucia Moholy trovarono spazi per esprimersi.
 
La chiusura del Bauhaus da parte dei nazisti nel 1933 fu seguita da anni caotici, se non tragici per molti ex membri della scuola: sei donne morirono nei campi di concentramento, una in un bombardamento. Un certo numero di artiste riuscì a fuggire in esilio: Gunta Stölzl fondò un’azienda di tessitura a mano in Svizzera, Anni Albers iniziò a insegnare nel 1933 al Black Mountain College nel North Carolina e Lotte Stam-Beese si stabilì in Olanda.
 
Cosa resta, quindi, delle donne del Bauhaus? Una famosa foto di Lux Feininger mostra un gruppo di giovani donne sulle scale del Bauhaus di Dessau: capelli corti, pantaloni, sguardo indomito e spregiudicato verso l’obiettivo del fotografo. Per quanto possa dare un’impressione moderna, non dobbiamo calcare le zone d’ombra del passato, e considerarle piuttosto delle artiste indipendenti, eppure si sente parlare di loro ancora troppo spesso come della “moglie di” Joseph Albers, Mart Stam o László Moholy-Nagy. Il fatto però che si stiano moltiplicando le mostre personali dedicate ad artiste del Bauhaus, che su Wikipedia abbiano anche loro delle pagine specifiche, che gli storici dell’arte si soffermino anche sulle loro vite, fa ben sperare che quest’atteggiamento sia destinato a scomparire.

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