Accesso rapido:

Vai direttamente al contenuto (alt 1) Vai direttamente al primo livello di navigazione (alt 2)

Violenza sessualizzata sul set
“Non è ok se non è stato concordato!”

Tutte hanno partecipato nel 2015 a un casting durante il quale hanno subito delle molestie: le cinque attrici nel film più recente di Alison Kuhn “The Case You”. Alcune delle partecipanti denunciano oggi l’uso improprio dei loro diritti d’immagine.
Tutte hanno partecipato nel 2015 a un casting durante il quale hanno subito delle molestie: le cinque attrici nel film più recente di Alison Kuhn “The Case You”. Alcune delle partecipanti denunciano oggi l’uso improprio dei loro diritti d’immagine. | Foto (dettaglio): © mindjazz pictures

Molestie durante il casting, scene impreviste di stupro nel corso delle riprese: la violenza sessualizzata esiste anche nel mondo del cinema. L’ultimo lungometraggio della registra Alison Kuhn affronta le sue ripercussioni sulle vittime. In “The Case You”, cinque di loro raccontano le loro esperienze.

Di Eleonore von Bothmer

Signora Kuhn, che cosa l’ha indotta a girare il film “The Case You” che affronta la violenza sessualizzata?

Alison Kuhn è attrice e studia regia all’Università del Cinema di Babelsberg KONRAD WOLF. È famosa grazie a vari film oltre al pluripremiato “The Case You”, nel quale affronta la violenza sessualizzata nell’industria cinematografica e le conseguenze di quest’esperienza sulle vittime. Il film è uscito nei cinema in Germania il 10 marzo del 2022. Alison Kuhn è attrice e studia regia all’Università del Cinema di Babelsberg KONRAD WOLF. È famosa grazie a vari film oltre al pluripremiato “The Case You”, nel quale affronta la violenza sessualizzata nell’industria cinematografica e le conseguenze di quest’esperienza sulle vittime. Il film è uscito nei cinema in Germania il 10 marzo del 2022. | Foto (dettaglio): © Christian Zipfel Quando ero attrice esordiente sono stata invitata, come centinaia di altre giovani donne, a partecipare ad un casting nel corso del quale sono state commesse delle molestie pesanti. Innanzitutto, durante la scena scelta per l’audizione molte partecipanti sono state toccate o addirittura picchiate senza che ciò fosse stato concordato in anticipo, poi il materiale dei provini è stato trasformato in un “documentario” senza che nessuno avesse dato l’autorizzazione. In pratica, è stata perpetrata una doppia violazione. In seguito, alcune partecipanti hanno deciso di fare causa per uso improprio dei loro diritti d’immagine.

Queste donne sono state sostenute da qualcuno?

La piattaforma “crew united” si è impegnata molto per agevolare la comunicazione fra le vittime attraverso Facebook. È così che ho conosciuto anche le donne che nel mio film hanno avuto la possibilità di esprimersi. Ma l’ho girato per una ragione diversa.

Qual è il motivo?

Durante l’esame d’ammissione per i miei studi di regia all’Università del Cinema Potsdam-Babelsberg sono stata riconosciuta da qualcuno che ha partecipato a quell’orribile casting. Questo ha fatto esplodere dentro di me molte sensazioni che sentivo di dover orientare in qualche modo. Ero come paralizzata. Poi mi sono detta: “Se riesco ad essere accettata qui, farò un film proprio su questo tema.” È stato un bene trasformare questa sensazione ripugnante in qualcosa di costruttivo, perché ho improvvisamente ritrovato anche l’energia per affrontare l’esame.

Il movimento Me Too affronta ripetutamente situazioni di molestie sui set dei film. Ritiene che il settore favorisca queste modalità?

Laddove vigono gerarchie forti vi è un potere strutturale implicito e non c’è differenza fra il settore cinematografico e per esempio le grandi aziende. Il set si basa su una struttura gerarchica precisa e non potrebbe essere diversamente perché non funzionerebbe: ciò significa però che è un terreno fertile per l’abuso di potere. Fra l’altro, non si può nemmeno dire che questo riguardi solo le giovani donne, perché anche gli uomini o le attrici più anziane possono essere colpite.

Quest’esperienza ha influito sulla sua attività di regista?

Ora sono ovviamente molto più consapevole dell’importanza di una gestione saggia della responsabilità da parte del regista. Questo lavoro si basa sulla fiducia e le esperienze personali non solo mi hanno reso più percettiva, ma hanno anche sensibilizzato i miei campanelli d’allarme.

Com’è stato accolto il suo film dall’industria cinematografica?

Il feedback da parte di tutti gli altri è stato ottimo. Molti sono stati contenti che si affrontasse questo argomento, e credo che in Germania nessun film lo avesse ancora fatto. Ovviamente, ora tanti vengono da me per raccontarmi le loro esperienze. Si è messo in moto qualcosa, ci sono più scambi e le persone sono più in contatto fra di loro. Inutile dire che sono ben lieta quando i miei colleghi registi mi dicono che ora affrontano il casting in maniera diversa.

Per quale ragione si finisce per accettare le molestie in un contesto simile, nel quale ci sono oltretutto degli spettatori?

Nel mio film una delle protagoniste racconta ad esempio che per lei interrompere il provino non era un’opzione. Del resto, all’inizio avevano passato un annuncio: “Qui non si interrompe!”. È evidente che così facendo era già stata strutturata una chiara disparità di potere. Il fatto che l’intera troupe partecipasse al casting in questione conferiva al tutto una dinamica molto potente. Una delle attrici ha detto di averlo percepito quasi come un abuso di gruppo perché erano presenti molte persone e nessuno ha preso posizione a suo favore in un momento in cui lei stessa non ne era capace.

Pensa che la situazione sia difficile anche perché in quel momento l’attore ha delle ambizioni?

Esatto, è come per un colloquio di lavoro dal quale dipendono molte cose. La carriera, l’affitto, gli incarichi successivi e molto altro. Tutto ciò vale ovviamente anche in tanti altri settori.
In “The Case You” anche Milena Straube parla del casting del 2015. In seguito l’attrice ha partecipato a varie produzioni teatrali e cinematografiche. In “The Case You” anche Milena Straube parla del casting del 2015. In seguito l’attrice ha partecipato a varie produzioni teatrali e cinematografiche. | Foto (dettaglio): © mindjazz pictures Inoltre, gli attori spesso si trovano in situazioni estreme, nelle quali i confini fra un ambito e l’altro possono essere piuttosto sfumati.

Sì, a volte la realtà e la recitazione non sono distinte con chiarezza. L’intenzione artistica non è necessariamente esplicita, soprattutto se non si è immersi nella scena. Nel passato penso che tutto ciò fosse ancora più estremo, o meglio autoritario, quando si aveva ancora l’idea del regista come genio. Si pensi ad esempio a L’ultimo tango a Parigi, nel quale l’attrice è stata sorpresa con una scena di stupro per farla reagire con autenticità. A parte tutto quello che c’è comunque di sbagliato, questo danneggia la professione stessa di attore. Dopo tutto gli attori vengono formati proprio per essere in grado di rappresentare qualsiasi cosa e conoscono i mezzi per farlo.

Che cosa può fare il regista per evitare delle esperienze inquietanti di questo genere?

È importante definire in anticipo i limiti e farlo con grande trasparenza. Tutto è possibile ma dev’essere stabilito fin dall’inizio. Non è OK se non è stato concordato! L’empatia è importante, così com’è essenziale prendere sul serio ogni membro della troupe.

Top