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Una nuova, vecchia casa
Ebraismo in Germania

La rabbina Alina Treiger alla sua consacrazione nella sinagoga dell’Istituto Abraham Geiger a Berlino nel 2010.
La rabbina Alina Treiger alla sua consacrazione nella sinagoga dell’Istituto Abraham Geiger a Berlino nel 2010. | Foto (dettaglio): © picture alliance/dpa/Marcel Mettelsiefen

Dopo la Seconda Guerra mondiale sembrava impossibile che da ebrei si potesse tornare a vivere in Germania. Oggi vi abitano invece rabbini e rabbine, gruppi LGBTQI e politici ebrei. I problemi dell’antisemitismo, però, sussistono tuttora.

Di Ralf Balke

Secondo un vecchio detto, non c’è niente di più stabile di una soluzione provvisoria, e la storia della comunità ebraica nella Germania del dopoguerra sembra confermarlo. Dopo la Shoah era abbastanza inconcepibile l’idea che ebree ed ebrei potessero ristabilirsi proprio nel Paese di chi l’aveva perpetrata, e per questo, dopo il 1945, qualsiasi forma di esistenza ebraica sul suolo tedesco fu considerata temporanea e si parlò di “comunità in liquidazione” incaricate di sostenere i propri membri nel trasferimento in un altro Paese. A oltre 75 anni di distanza, la situazione è completamente diversa: ebree ed ebrei in Germania non sono più sul piede di partenza, le comunità ebraiche sono 105, contano quasi 98.000 membri e fanno capo al Zentralrat der Juden in Deutschland, Consiglio centrale ebraico in Germania, che ne cura gli interessi. Inoltre si stima che si trovino nel Paese altrettante persone di religione ebraica non appartenti alle suddette comunità.
 
Con la comunità unificata si è affermato un concetto che in questa forma esiste probabilmente solo nei Paesi di lingua tedesca. Vi trovano posto a pari livello tutte le correnti dell’ebraismo, anche se la vita religiosa segue per lo più le direttive ortodosse. Le ragioni sono storiche: fino alla fine degli anni Ottanta erano appena 28.000 gli ebrei che vivevano nella Repubblica Federale Tedesca, per lo più cosiddette Displaced Persons, cioè ebrei fuggiti da Polonia, Romania o Ungheria dopo il 1945 e loro discendenti, e di fatto erano in prevalenza più vicini alle tradizioni ortodosse. Nella DDR la situazione era completamente diversa: dei pochi ebrei che vi si erano trasferiti, soprattutto per ragioni ideologiche, la maggior parte era fuggita all’ovest per scampare dal clima di repressione, cosicché nel 1989 le comunità rimaste all’est contavano appena 1.500 membri.

Una nuova eterogeneità

Dopo la caduta del comunismo è iniziata l’immigrazione di ebree ed ebrei dall’Unione Sovietica in declino: fino al 2005 ne sono arrivati 220.000, assicurando non solo una rinascita dell’ebraismo, ma anche un’eterogeneità sconosciuta in passato. Ed è così che, parallelamente all’ebraismo ortodosso, hanno potuto affermarsi altre correnti che si definiscono liberali, conservatrici o progressiste. Con l’Abraham Geiger Kolleg di Potsdam, fondato nel 1999, è stato istituito anche il primo seminario rabbinico del dopoguerra, presso il quale nel 2006 è iniziata l’ordinazione di rabbini secondo un orientamento più liberale e, nel 2010, anche della prima rabbina. Nel 2009 è stato aperto a Berlino il seminario rabbinico ortodosso di Hildesheim, e così nel frattempo, a differenza del passato, molte comunità sono ora guidate da rabbine e rabbini che hanno completato la propria formazione in Germania.
Bandiere con la stella di David nel “giorno della kippah” a Friburgo, sventolate da gruppi LGBTQI che vogliono sensibilizzare le comunità alle questioni queer. Bandiere con la stella di David nel “giorno della kippah” a Friburgo, sventolate da gruppi LGBTQI che vogliono sensibilizzare le comunità alle questioni queer. | Foto (dettaglio): © picture alliance/ Winfried Rothermel In questo contesto, negli ultimi trent’anni l’ebraismo si è chiaramente differenziato: non solo le comunità in sé sono diventate “più russe”, visto che gli immigrati dall’ex URSS costituiscono di fatto la maggioranza assoluta, ma nel frattempo è anche cresciuta una nuova generazione che nel migliore dei casi è vissuta in Unione Sovietica solo durante l’infanzia, se non è nata direttamente in Germania. Giovani ebree ed ebrei non vogliono più essere ridotti ai temi della Shoah, dell’antisemitismo o del conflitto mediorientale e vogliono invece infrangere gli stereotipi nazionali o religiosi. Ne sono un esempio il Keshet, gruppo LGBTQI che vuole dare maggior visibilità alle tematiche queer nelle comunità, o la JSUD, unione studentesca ebraica. Gli ebrei stanno dicendo la loro anche nel panorama politico tedesco, ad esempio costituendo dei gruppi all’interno di CDU e SPD.

“Meet a Jew” e il dialogo ebraico-musulmano

Da parte sua, il Consiglio centrale ebraico ha lanciato numerose iniziative in favore di una maggiore visibilità dell’ebraismo, da “Meet a Jew”, programma d’incontro nel quale giovani ebrei parlano di ebraismo e vita quotidiana ebraica nelle scuole o nelle associazioni sportive, a “Shalom Aleikum”, progetto di dialogo ebraico-musulmano in cui persone di ogni fascia d’età e professione si incontrano per conoscersi meglio e abbattere i pregiudizi, considerando che il risentimento contro gli ebrei e addirittura l’antisemitismo restano una grande minaccia.
 
Anche quest’ultima, tuttavia, nel corso degli anni è cambiata per alcuni aspetti: il più consueto incitamento contro gli ebrei da parte delle destre è stato recentemente affiancato da nuove espressioni di odio negli ambienti della sinistra radicale e da un crescente antisemitismo che affonda le radici nell’Islam politico. Nel 2020, per esempio, la polizia ha registrato 2.275 reati di matrice antisemita, la cifra più alta mai raggiunta dal 2001, anno di introduzione in Germania della classificazione a fini statistici di “Politisch motivierte Kriminalität“ (PMK), criminalità con motivazione politica. Sinagoghe e altre istituzioni ebraiche vengono protette dalla polizia ventiquattr’ore su ventiquattro, e anche questo rientra nella normalità della vita ebraica in Germania.
Fiori davanti alla sinagoga di Halle in commemorazione delle vittime dell’attentato antisemita del 2019. Fiori davanti alla sinagoga di Halle in commemorazione delle vittime dell’attentato antisemita del 2019. | Foto (dettaglio): ©picture alliance/dpa/dpa-Zentralbild/Hendrik Schmidt

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