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L’alternativa non c’è
L’immobilità è regresso e progresso

L’immobilità è sempre e comunque un cattivo segno: può definirsi immobile ciò che dovrebbe invece progredire, ma non essendoci obiettivi al di fuori del progresso, quest’ultimo è inevitabile e, malgrado ogni cambiamento, tutto resta uguale. La ruota della storia continua a girare incontrollata e senza tener conto delle perdite, verso un futuro migliore, ma mai raggiungibile.

Di Dirk Braunstein

Internet, che attualmente è la manifestazione per eccellenza del progresso tecnologico e lo è ben più dei voli spaziali, degli antibiotici ad ampio spettro e delle tavolette del bagno riscaldate, ci spiega che il modo di dire “l’immobilità è regresso” risale a Rudolf von Bennigsen-Foerder, a suo tempo amministratore delegato della società per azioni VEBA, cioè quell’azienda elettrica che nel frattempo opera sotto il nome assai progressista E.ON. In effetti, però, lo possiamo già ritrovare in Theodor Fontane. L’eroina del titolo del suo romanzo Mathilde Möhring, chiacchierando riassume così la verità più profonda della sua frase: “L’immobilità è regresso, disse mio padre l’anno prima di morire, dopo non aver ricevuto la tredicesima a Natale.”
 
Per farla breve, la frase risale addirittura alla raccolta di favole Speculum sapientiæ del monaco domenicano Bongiovanni da Messina, dove leggiamo: “Si steteris, retrocedis”, che oggi corrisponderebbe più o meno a “Se ti fermi, retrocedi!” nella corsa per accaparrarsi un posto nella beatitudine celeste o, per tornare al top manager liberale di cui sopra, nella corsa di tutti contro tutti. L’immobilità è quindi sempre e comunque un cattivo segno, perché può ritenersi immobile solo ciò che dovrebbe progredire. E così, un ennesimo scettico dell’immobilità ha saputo elogiare le benedizioni del progresso: “Chi ignora le conseguenze di fatti innegabili non potrà che rimanere indietro. Questo tipo di persona è sempre esistito e continuerà ad esistere in futuro ma non riuscirà ad ostacolare la ruota della storia, non la potrà mai fermare.” (Adolf Hitler, Mein Kampf, Vol. 2)

Chi, per puro caso, non è ancora stato travolto dalla ruota della storia (è questo appunto il modus operandi del progresso) sarà costretto prima o poi ad imparare a proprie spese che il progresso e l’immobilità sono concetti normativi che non devono nemmeno fare lo sforzo di identificarsi, perché i nemici dell’umanità di tutti i paesi possono contare sul fatto di essere capiti da tutti: il progresso è grandioso, l’immobilità è insensata.

Il progresso è grandioso, l’immobilità è insensata

Questa semplice contrapposizione fra progresso e immobilità, dinamismo e stasi, avanti e indietro, è palesemente irragionevole: un vero progresso diventa superfluo una volta per tutte non appena raggiunge il suo obiettivo. Poiché tuttavia non esiste più alcun obiettivo al di là del progresso, esiste sempre e soltanto il progresso. Di conseguenza, tutto resta sempre uguale malgrado tutti i cambiamenti, e la ruota della storia gira con disinvoltura, senza tener conto delle perdite, verso un futuro migliore che non viene mai raggiunto: “Se continuiamo così è la catastrofe.” (Walter Benjamin). La sofferenza provocata dal progresso bloccato ne mette sempre più in evidenza le conseguenze letali: il progresso non è grandioso, è semplicemente la normalità. “L’immobilità è regresso”. Questo concetto viene somministrato, a mo’ di motto da calendario, da coloro che hanno potuto beneficiare della loro fiducia nel progresso (ritenendola una vittoria garantita) ai perdenti nella storia affinché questi ultimi, pur essendo condannati a condurre una vita nell’immobilità perenne, possano deliziarsi di rimanere intrappolati nella più progressista delle società. Potrebbe del resto andar bene, o almeno far comodo, vivere nel qui e ora progressista. Ma visto che gli esseri umani di tutti i tempi hanno avuto tale percezione, risulta difficile registrare un progresso in questo senso.

Il processo del progresso è tutt’uno con l’immobilità

Per riuscire a trasformare il progresso in qualcosa di diverso da una progressione del tempo durante la quale i governanti spiegano ai governati come concepire la loro propria storia, non può bastare sottrarsi all’alternanza fra l’immobilità e il progresso. A questo punto, non si tratta di rigettare la fiducia nel progresso così com’è stata condivisa dai nazionalsocialisti o dai neoliberali e da altre persone che, come ha affermato Karl Kraus, hanno “diffuso l’immobilità fra la gente con il pretesto che dovesse succedere qualcosa”.  Si tratta piuttosto di evidenziare che l’alternativa non è tale, ma è piuttosto l’espressione di un’ideologia. Il concetto che il progresso esista da cento anni, da duemila anni o dalla notte dei tempi, svilisce il concetto stesso del progresso. Il processo del progresso coincide con l’immobilità. Non sono opposti fra di loro, ma la fine di questa storia apparentemente progressista sarebbe l’opposto sia del progresso che del regresso. Ci vorrebbe una rottura che trasformi finalmente la storia come l’abbiamo vissuta finora (e che è solo preistoria, un cieco “continuiamo così”), in una storia degna del suo nome e saggiamente plasmata dagli esseri umani.

Tutto ciò potrebbe sembrare supponente e pseudorivoluzionario. La questione è che purtroppo, e stupidamente, non vi è alcuna alternativa che non sia ancora una volta un’ideologia: quella della rivoluzione e quella del progresso vecchio e sempre più vetusto attraverso l’immobilità.

Per assurdo, nemmeno scrivere ci porta da nessuna parte perché dovremmo mettere tutto questo in pratica…

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