Storia della Germania divisa
Trattative nell’ombra
Tra l’inizio degli anni ’60 e la fine degli anni ’80, la RFT paga il riscatto di migliaia di prigionieri della RDT, un affare vantaggioso, all’epoca, per entrambe le parti. Ne parliamo in quest’articolo, illustrando un aspetto molto particolare della storia della Germania divisa.
Di Natalia Mleczko
Nel romanzo Das Jahr ohne Sommer, letteralmente “L’anno senza estate”, una bambina si chiede «Chi compra le persone chiuse in prigione?», riferendosi ai propri genitori, carcerati per un anno e mezzo in diversi penitenziari della DDR prima del loro riscatto da parte della Repubblica Federale Tedesca. La piccola, Constanze Neumann, non riesce a capire il meccanismo della compravendita dei prigionieri politici. Lo fa da adulta, diventata scrittrice, con un romanzo autobiografico sul tema che la racconta la storia della sua vita, tra la vecchia patria, la DDR, e quella nuova, la Repubblica Federale di Germania. La prigionia e il riscatto dei suoi genitori, tuttavia, continuano a non darle pace.
Un falso segreto
Quello dei genitori di Constanze non è un caso isolato: saliranno a 33.755 i cittadini dello Stato totalitario della Germania Est riscattati dalla Repubblica Federale. «Questo commercio segreto era in realtà sulla bocca di tutti» afferma lo storico Jan-Phillip Wölbern, che all’argomento ha dedicato la tesi di dottorato e ora è vicedirettore della sede estera della Fondazione Konrad Adenauer in Ucraina. Come spiega Wölbern, diversi fattori avevano portato Berlino Est e Bonn a considerare il pagamento di riscatti, interessanti sia per la Repubblica Federale, sia per il regime della DDR, sebbene con obiettivi molto differenti: se lo scopo della Germania Ovest era umanitario, quello della Repubblica Democratica era prettamente materiale.Nella procedura svolgevano un ruolo decisivo determinati avvocati, che si spostavano come frontalieri fungendo da catalizzatori per il riscatto e mediando con intraprendenza tra i due governi. Al momento della costruzione del Muro, la Repubblica Federale ha definitivamente realizzato che il regime della DDR sarebbe rimasto in piedi per molto tempo e che pertanto occorreva un riorientamento politico. «Non c’era un piano generale», racconta. Né la Germania Ovest, né la DDR avevano esperienza di riscatto di prigionieri politici ed entrambi gli Stati dovevano innanzitutto valutare a quali condizioni impegnarsi in un simile accordo. Secondo la Fondazione federale per la rielaborazione della dittatura del partito SED, «la DDR non ha mai risparmiato critiche per l’aspirazione capitalista e orientata al profitto dell’Ovest, ponendosi in antitesi ai principi economici della Repubblica Federale. […] Nel trattamento dei prigionieri politici, tuttavia, la DDR andava meno per il sottile: alle persone assegnava un prezzo e poi le vendeva alla Repubblica Federale, inizialmente per 40.000, poi per 90.000 marchi». Una di questi prigionieri politici è la madre di Constanze Neumann, Eva-Maria Neumann, che racconta la propria storia nel libro Sie nahmen mir nicht nur die Freiheit – Die Geschichte einer gescheiterten Republikflucht (letteralmente: “Non mi hanno rubato solo la libertà. Storia di una fuga fallita dalla Repubblica”). Eva-Maria, giovane donna e madre, tenta diverse volte la fuga con il marito e la bambina, ma con l’ultimo tentativo finisce in carcere. Al momento dell’arresto, le strappano la figlia dalle braccia e mettono la piccola per alcuni giorni in orfanatrofio, prima di affidarla ai nonni nella DDR. Per Eva-Maria Neumann è un’esperienza traumatica e ancora oggi, a distanza di quasi 30 anni, la definisce «la cosa peggiore che mi sia mai capitata».
Dopo la condanna per “tentativo di fuga dalla Repubblica”, la donna viene trasportata in carro bestiame nel Frauengefängnis Hoheneck, il carcere femminile di Stollberg, in Sassonia, la più famigerata prigione della DDR, dove per lei inizia un periodo tremendo, tra paura, privazione del sonno e malattia. Durante la prigionia, Eva-Maria viene a sapere della possibilità di riscatto da parte della Repubblica Federale Tedesca e questo le dà un barlume di speranza nel momento più buio. «A Hoheneck c’era sempre un mezzo di trasporto, anche se a intervalli irregolari», ricorda. «Quando di notte notavamo un fascio di luce proveniente da un certo edificio, noi detenute capivamo che stavano preparando il trasporto di una prigioniera per la quale era stato pagato il riscatto».
Una lista di nomi
Secondo Wölbern, il nome inserito sulla lista giusta significava la riconquista la libertà. Chi non era riuscito a rientrare in quella lista, alla fine della prigionia era stato rilasciato e aveva ripreso la vita che conduceva in precedenza, in quello che si era autoproclamato “Stato degli operai e dei contadini”. Solo i prigionieri politici, come ad esempio chi aveva tentato la cosiddetta fuga dalla Repubblica, avevano la possibilità di essere riscattati. Parenti, amici o conoscenti all’Ovest incaricavano degli avvocati di perorare la loro causa, e così era stato anche per Eva-Maria. E gli avvocati consegnavano l’elenco dei nomi alle autorità della DDR che decidevano chi poteva essere riscattato e chi no.Per la vita delle donne e gli uomini riscattati, la liberazione ha segnato una vera e propria svolta, ma in molti di loro il passato ha lasciato una profonda cicatrice. Così è stato anche per Eva-Maria e sua figlia Constanze, che nonostante il tempo trascorso non riescono a superare il vissuto dello sradicamento dal luogo natio, la prigionia, il riscatto e la nuova vita in libertà, che costituiscono tuttora una sfida per entrambe. Eva-Maria ha scritto le sue esperienze subito dopo la propria liberazione: «Volevo fissare ciò che aveva subito la mia famiglia» - racconta – «e scriverlo mi è stato di grande aiuto». Anche Constanze ha deciso di mettere su carta la sua esperienza e sia la testimonianza della madre che il romanzo della figlia sono usciti presso la nota casa editrice della Germania Est Aufbau Verlag, che così ha permesso ad entrambe di trattare un argomento che trova poca risonanza tra l’opinione pubblica.
Panorama culturale
Sulla Germania Est sono stati girati diversi film, serie e documentari; ricordiamo ad esempio Le vite degli altri (2006) di Florian Henckel von Donnersmarck, vincitore di un Oscar, che analizza la vita nella dittatura della SED da prospettive contrastanti. Anche Hollywood si è occupata della DDR: Steven Spielberg ha firmato la regia de Il ponte delle spie (2017), sul primo scambio di agenti durante la Guerra Fredda, anche il più noto storicamente, avvenuto tra il colonnello Rudolf Abel, spia sovietica, e il pilota statunitense Gary Powers. Il film è ambientato a Berlino Est e mostra uno grigio e brutale Stato totalitario. Una prospettiva diversa è quella fornita da film che giocano con la cosiddetta “Ostalgie”, neologismo composto da “Est” e “nostalgia”. In Go Trabi Go: Die Sachsen kommen (1991), il regista Peter Timm è tra i primi a realizzare una commedia sull’Est. La tendenza dell’Ostalgie è proseguita in Germania fino alla metà degli anni 2000 e uno dei film più noti di questo filone è Good bye, Lenin! (2003) di Wolfgang Becker; anche film come Sonnenallee (1999) o NVA (2004, dove la sigla si riferisce alla “Nationale Volksarmee”, l’esercito popolare nazionale della RDT) di Leander Haußmann mostrano la vita nella DDR da una prospettiva umoristica, guadagnandosi anche delle critiche per aver banalizzato della vita nel regime della SED.Al contrario, il riscatto dei prigionieri del regime dell’Est da parte della Repubblica Federale Tedesca è un tema che trova pochissimo riscontro nel vasto panorama culturale. Ne fa cenno, almeno di sfuggita, il film per la tv Die Frau vom Checkpoint Charlie (2007) di Miguel Alexandre. «Il pagamento del riscatto non è stato un fenomeno di massa», afferma Wölbern: in effetti, rispetto alla popolazione della DDR dai primi anni Sessanta alla fine degli anni Ottanta, circa 17 milioni di persone, le 33.755 riscattate hanno costituito un numero davvero esiguo, e forse è questo uno dei motivi per i quali la vicenda è stata trattata in maniera così marginale in ambito culturale. «Eppure il fenomeno è abbondantemente documentabile», dichiara lo storico, continuando a chiedersi perché un aspetto così unico della storia della Germania divisa non si sia ancora guadagnato l’onore dei riflettori.
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