Si è spenta la testimone dell’Olocausto
Margot Friedländer: “Siate umani!”

Sono migliaia le ragazze e i ragazzi che in Germania hanno potuto ascoltare la storia di Margot Friedländer, spentasi ormai ultracentenaria, eppure ancora instancabile nelle sue visite alle scuole, in cui offriva il suo monito e la sua testimonianza diretta dell’Olocausto.
Di Caroline Bock e Verena Schmitt-Roschmann
Berlino (dpa) – Margot Friedländer appariva molto fragile, negli ultimi tempi, ma nonostante gli oltre cento anni d’età e quasi fino alla fine, la sua figura minuta si ergeva ancora con grande dignità durante le iniziative che la vedevano protagonista, quando nelle scuole e alle cerimonie commemorative raccontava la sua esperienza da sopravvissuta all’Olocausto e con gentilezza, pazienza e tenacia lanciava il suo monito. Cittadina onoraria di Berlino, parlava della sua famiglia, uccisa dai nazisti, e del suo destino nel campo di concentramento di Theresienstadt. Il suo messaggio principale è stato: “Siate umani”.
Ancora mercoledì scorso aveva voluto ribadire in pubblico quell’importante appello con voce ormai flebile, prima di spegnersi all’età di 103 anni.
La persecuzione e la privazione dei diritti della sua famiglia ebrea sotto Adolf Hitler erano impresse nella sua memoria «come se fosse ieri», aveva dichiarato alla dpa all’inizio del 2025. Era una delle ultime persone ad aver vissuto tutto ciò e a poterlo ancora raccontare direttamente.
Margot, tuttavia, viveva nel presente e si sentiva turbata dalla divisione della società tedesca e dall’ascesa della destra. «Non mi intendo molto di politica» – aveva affermato nell’intervista alla dpa – «ma come dico sempre, anche all’epoca è cominciata così. State attenti, non fatelo».
Un taccuino e una collana d’ambra
Margot Friedländer (Bendheim da nubile) nacque il 5 novembre 1921 a Berlino. I suoi genitori erano già divorziati quando, all’inizio degli anni ‘40, sua madre cercò sempre più disperatamente di architettare la fuga dalla Germania di Hitler con i due figli, ma nel 1943, poco prima di riuscire nell’intento, suo figlio Ralph, fratello di Margot, fu arrestato dalla Gestapo e la donna, per non lasciarlo solo, si consegnò alle autorità. Entrambi furono poi uccisi nel campo di sterminio di Auschwitz.Margot rimase indietro, conservando di sua madre solo l’ultima frase a lei rivolta, «Cerca di costruirti la tua vita», che in seguito divenne il titolo delle proprie memorie, una collana d’ambra che indossò per tutta la vita, e infine un taccuino.
Da un nascondiglio all’altro
All’epoca ventunenne, fu aiutata da sedici persone a nascondersi in diversi posti, riuscendo a sopravvivere in quel modo per 15 mesi, finché un giorno le cose si misero male: dei delatori ebrei, che all’epoca davano la caccia ad altri ebrei per conto dei nazisti, la catturarono per strada, e così Margot fu deportata a Theresienstadt, un «limbo: né vita né morte».Verso la fine della guerra, vedendo lo stato miserabile dei prigionieri in arrivo da Auschwitz nel caos degli ultimi giorni, comprese con chiarezza che non avrebbe mai più rivisto la madre e il fratello. Con il marito Adolf Friedländer si trasferì negli Stati Uniti, dove lavorò in un negozio di abbigliamento e come agente di viaggio. Lui rimase al suo fianco per oltre cinquant’anni. «Avevamo vissuto entrambi la stessa esperienza, provavamo lo stesso dolore, non avevamo bisogno di parlarne», raccontò in seguito. Suo marito morì nel 1997.
“Don’t call it Heimweh”
Nel 2003 Margot tornò per la prima volta nella sua città natale, su invito del Senato di Berlino e accompagnata dal regista Thomas Halaczinsky, che girò con lei il film Don’t Call It Heimweh. Più tardi dichiarò che già dal primo giorno aveva sentito che era quella la sua casa, e già ultraottantenne tornò a vivere nella capitale tedesca.Il suo entourage americano era scettico; le dicevano che forse i tedeschi la vedevano solo come una simpatica, anziana signora, e magari, grazie a lei, si sentivano meno in colpa. Lei non volle dar peso a queste obiezioni e non rimpianse mai quel ritorno, dichiarando piuttosto: «Faccio qualcosa che forse vi sembrerà strano, ma io sono e mi sento tedesca».
In copertina su Vogue
Nella sua nuova, vecchia patria calamitò letteralmente l’attenzione: erano in molti ad ascoltarla, quando raccontava con enfasi la sua storia. Nel suo appartamento, in una residenza berlinese per anziani dove viveva con il suo gatto, non c’era quasi più spazio per i numerosi premi e onorificenze; alle pareti erano appese foto ricordo con politici, mentre su un tavolo campeggiavano, tra l’altro, il premio Bambi per il suo coraggio e la copertina incorniciata di Vogue che la ritraeva. Quel riconoscimento tardivo le fece bene: «Da una parte, ho avuto buone esperienze con genitori, adulti, bambini, studenti», dichiarò un giorno. «Con le persone».Berlino le conferì la cittadinanza onoraria e già nel 2011 le fu consegnata la Croce al Merito Federale per il suo impegno. Proprio questo venerdì avrebbe dovuto ricevere la Grande Croce al Merito dell’Ordine al Merito della Repubblica Federale di Germania, durante una cerimonia pubblica.
L’appuntamento è stato annullato prima che si diffondesse la notizia della sua morte. In serata, il Presidente Federale Frank-Walter Steinmeier ha voluto rendere omaggio non solo al suo impegno, ma anche alla sua profonda umanità: «Margot Friedländer ha colpito tutti coloro che l’hanno incontrata con il suo calore, la sua disponibilità, la sua immensa forza».
Il passato non si può più cambiare.
Friedländer lascia molto, ma soprattutto il suo messaggio di riconciliazione e memoria. All’età di 101 anni ha fondato una fondazione per la promozione della libertà e della democrazia, che continuerà il suo lavoro di sensibilizzazione nelle scuole e assegnerà anche il Premio Margot Friedländer.
«Il passato non si può più cambiare, ma non deve più ripetersi», diceva. «Non deve essere mai più inflitto a nessun essere umano ciò che fu perpetrato allora, perché gli esseri umani non erano riconosciuti come tali».
Nel quartiere berlinese Kreuzberg, al civico 32 di Skalitzer Straße, delle pietre d’inciampo ricordano il fratello Ralph e la madre Auguste Bendheim, e anche Margot ha la sua pietra, sulla quale è menzionata la deportazione a Theresienstadt e, al di sotto, si legge: «sopravvissuta».