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Sguardi condivisi
Ruoli inossidabili e prospettive di cambiamento

Jutta Allmeldinger
Jutta Allmeldinger | Foto (particolare): © Bernhard Ludewig

La sociologa Jutta Allmendinger definisce “vischiose” le strutture culturali che ostacolano sia le donne, sia gli uomini nel tentativo di superare i vecchi modelli patriarcali. Attualmente docente di Sociologia dell’educazione e Ricerca sul mercato del lavoro presso l’Università Humboldt di Berlino, è stata direttrice del centro berlinese di Ricerca per le Scienze sociali.

Di Christine Pawlata

Nell’ambito del ciclo Sguardi condivisi, presso l’Auditorium San Felice di Milano si è svolto un incontro pubblico con Jutta Allmendinger e lo psicanalista italiano Massimo Recalcati. I due esperti hanno discusso di modelli di ruolo in lento cambiamento, violenza contro le donne e crisi di identità degli uomini. Prima dell’evento, abbiamo intervistato la sociologa.

Declino del patriarcato e nuove identità - Incontro a Milano con Jutta Allmendinger e Massimo Recalcati; modera Claudia Segre

Declino del patriarcato e nuove identità – Incontro a Milano con Jutta Allmendinger (a sinistra) e Massimo Recalcati (a destra), con la moderazione di Claudia Segre (al centro) | © Goethe-Institut Italien | Foto: Christine Pawlata

Professoressa Allmendinger, a che punto siamo oggi, in Germania, in termini di parità di genere?

Se consideriamo l’aumento dell’occupazione femminile e anche il maggior numero di donne in posizioni dirigenziali, a prima vista l’impressione è positiva. Se però ci chiediamo se le donne si siano avvicinate agli uomini solo perché al proprio lavoro retribuito sommano anche quello familiare di cura, oppure se anche gli uomini si siano avvicinati alle donne, il discorso cambia totalmente: oggi le donne lavorano di più, rispetto a dieci o venti anni fa, ma perché lavorano sia per sé, sia per le loro famiglie.

Vedo una minaccia per la parità e per principi fondamentali come l’autodeterminazione per il proprio corpo, la medicina riproduttiva e le identità, anche in un partito come l’AfD – Alternative für Deutschland, che mira a riconsiderarli in senso riduttivo.

Come vede l’attuale situazione della parità di genere in Italia rispetto alla Germania?

Il tasso di occupazione femminile in Italia è inferiore di 20 punti percentuali rispetto alla Germania, ma le donne lavorano più frequentemente a tempo pieno e occupano più spesso “lavori da uomo” nelle professioni STEM, per cui il divario retributivo tra sessi, in Italia, risulta minore, oltre al fatto che ci sono più donne in posizioni dirigenziali. In Italia, tuttavia, è molto maggiore la polarizzazione. Si deve fare attenzione che, da un lato, non si formi un’élite di donne che ricoprono posizioni dirigenziali, mentre dall’altro le donne rimangano costrette a ridurre la propria attività lavorativa retribuita per motivi economici, per mantenere a galla l’economia familiare.

Come si possono coinvolgere maggiormente gli uomini nel lavoro familiare?

Gli uomini della generazione tra i 20 e i 30 anni dicono di voler distribuire il lavoro all’interno della coppia, ma nella pratica ricadono nei ruoli tradizionali: quando diventano padri, aumentano la propria attività lavorativa remunerata, mentre le donne la riducono fortemente. La carriera maschile resta poi migliore anche dopo la ripresa del lavoro da parte delle donne, che solitamente rientrano in part-time e in questo modo, nell’arco della vita, guadagnano oltre 1 milione di euro in meno rispetto agli uomini.

Gli uomini devono quindi essere incentivati a mettere davvero in pratica i loro modelli di vita. Il programma della coalizione in Germania prevede più mesi di congedo parentale da usufruire in coppia e un’indennità sostitutiva della retribuzione (attualmente pari al 66%) più elevata. Quando i padri usufruiscono del congedo parentale, constatiamo che, per via di un’età mediamente maggiore, svolgono lavori più remunerativi; se si prende in considerazione il reddito familiare, ci si rende conto che per la famiglia non è vantaggioso che il padre usufruisca del congedo parentale, e su questo le donne non hanno potere argomentativo. Se aumentassimo il tasso dell’indennità sostitutiva della retribuzione all’80 o al 90%, l’argomentazione economica decadrebbe e sono assolutamente certa che gli uomini sarebbero più propensi a lavorare in part-time e a usufruire di congedi parentali più lunghi.

L’uguaglianza è un bene anche per gli uomini?

Molti uomini riconoscono il vantaggio della parità, avendo visto i loro padri perdere anni importanti della vita dei propri figli. In Germania, tuttavia, la norma materna è ancora profondamente radicata. Nell’ambito di una nostra ricerca abbiamo inviato decine di migliaia di candidature spontanee a grandi organizzazioni. Si trattava sempre di donne di 40 anni: una donna aveva preso dodici mesi di congedo parentale, mentre l’altra ne aveva presi due. Si è osservato che le donne che prendono dodici mesi di congedo parentale e i cui mariti non ne prendono affatto venivano invitate ai colloqui di lavoro significativamente più spesso. Quando abbiamo chiesto il motivo, ci è stato detto che una donna che prende solo due mesi di congedo parentale è considerata una cattiva madre. “È troppo ambiziosa. Sicuramente non si adatterebbe al nostro team.”
Questa è ovviamente una situazione senza via d’uscita. Se si interrompe il lavoro per due mesi, la carriera rimane praticamente intatta. Ma se si interrompe per dodici mesi, si subiscono gravi perdite professionali e finanziarie, consolidando al contempo la disuguaglianza all’interno delle coppie.

L’industria degli incontri fa registrare un fenomeno simile: una donna attraente e con un tipico “lavoro da donna” riceve molta più attenzione di un’altra: più clic, più appuntamenti e più possibilità di arrivare al matrimonio, rispetto a una donna con un “lavoro da uomo”.

Tutto ciò significa che viviamo in una cultura che non soltanto rende difficile, per le donne, staccarsi dal tradizionale ruolo femminile, ma ostacola anche gli uomini nel tentativo di non restare invischiati in questi schemi culturali ormai obsoleti. Gli uomini devono costantemente giustificare il motivo per cui lavorano part-time o restano a casa più a lungo. Sono norme antiquate e da superare, che a mio avviso richiedono uno sforzo da parte di tutti.

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