Accesso rapido:

Vai direttamente al contenuto (alt 1) Vai direttamente al primo livello di navigazione (alt 2)

Chi ha paura della tecnologia?
Uno sguardo critico può rivelarsi più accurato

Circondati da algoritmi e codici, poteri dirompenti della nostra epoca.
Circondati da algoritmi e codici, poteri dirompenti della nostra epoca. | Foto (dettaglio): © Adobe

Il fatto che la Germania investa meno nelle startup tecnologiche innovative rispetto agli USA può essere sintomatico di maggiore scetticismo nei confronti della tecnologia?

Di Arne Cypionka

Signor Vater, l’introduzione di nuove tecnologie alimenta da sempre la paura del cambiamento e delle sue conseguenze. Secondo Lei l’informatica occupa una posizione particolare tra tecnologie come la stampa tipografica o il motore a vapore, che nel tempo hanno portato veri e propri stravolgimenti? Mi riferisco ad esempio a forme di intelligenza artificiale (IA) potenzialmente in grado di svilupparsi ulteriormente?
 
In dettaglio, il processo del machine learning non è poi così spettacolare, eppure come tecnologia è impressionante, e neanche lontanamente immaginabile solo un’ottantina di anni fa. Da questo derivano i miti che si sono generati, tanto a livello di ansie, quanto in termini di aspettative, spaziando dall’ipotesi che nell’emergenza climatica l’intelligenza artificiale possa essere in grado di gestire il pianeta meglio di qualsiasi essere umano a quella contraria, che predice che l’intelligenza artificiale possa diventare autonoma ed eliminare il genere umano. Basta dare un’occhiata alla letteratura o al cinema di fantascienza per trovare di tutto e di più, e non solo da ieri: già all’epoca del Romanticismo con Frankenstein e sicuramente dagli albori del cinema con Metropolis.
 
Quanto sono giustificate queste preoccupazioni? Frankenstein potrebbe presto diventare presto realtà?
 
Il fatto che siamo già circondati da macchine in grado di riconfigurarsi autonomamente ci ha forse catapultati tra androidi intelligenti antropomorfi? No. Semplicemente disponiamo di apparecchiature che non hanno bisogno di essere affiancate da persone con mansioni meccaniche, e abbiamo dispositivi capaci di effettuare serie di misurazioni senza la presenza di un esperto, ad esempio. La nostra tecnologia è diventata adattiva, tutto qui.
 
Per i profani, tuttavia, queste macchine si stanno trasformando sempre più in “black box”, scatole nere di cui non si riesce più a seguire il funzionamento. L’impiego di simili tecnologie non porta potenzialmente a una perdita di controllo sociale? Mi riferisco ad esempio alla “predictive policing”, attività di polizia predittiva, che sfrutta gli algoritmi per prevedere futuri reati in base a dati disponibili e giustificare interventi di prevenzione da parte della polizia.
 
La predictive policing è un tentativo di costruire strumenti di previsione saldamente ancorati a dati raccolti. Si fonda su modelli che indicano il modo in cui viene commesso un crimine, o anche in quale quartiere abita chi commette un certo tipo di crimine con determinate caratteristiche, che a loro volta dovrebbero permettere a chi ha realizzato tali strumenti a formulare delle ipotesi e a giustificarle, elencandole e verificandole una alla volta, purché si ricevano in maniera trasparente, ad esempio mediante strumenti sociologici. Un’attività, comunque, molto laboriosa.
Christian Vater ha fatto parte del reparto di ricerca su culture testuali materiali della DFG – Deutsche Forschungsgemeinschaft (organizzazione pubblica di ricerca) ed è stato consulente scientifico di diverse startup. Attualmente sta concludendo il dottorato di ricerca a Heidelberg su Alan Turing e l’intelligenza artificiale in filosofia. Christian Vater ha fatto parte del reparto di ricerca su culture testuali materiali della DFG – Deutsche Forschungsgemeinschaft (organizzazione pubblica di ricerca) ed è stato consulente scientifico di diverse startup. Attualmente sta concludendo il dottorato di ricerca a Heidelberg su Alan Turing e l’intelligenza artificiale in filosofia. | Foto: © Ute von Figura, Heidelberg Qual è la posizione tedesca in questo senso? Ci lavora qualcuno?

In Germania abbiamo un’associazione molto attiva e attenta in questo campo: si tratta del Chaos Computer Club (CCC), che conta propri rappresentanti in tutte le commissioni governative tedesche di esperti e nel frattempo viene sentito anche a livello parlamentare.
 
Proprio il CCC, però, mette spesso in guardia contro abusi e rischi delle nuove tecnologie.
 
Una visione critica non deve necessariamente essere distruttiva o pessimista, può anche indurre a prestare maggiormente attenzione.
 
Le startup oggi vengono considerate dei garanti dello sviluppo di tecnologie innovative. Rispetto alla Silicon Valley, tuttavia, il panorama delle startup tedesche sembra più cauto. La Germania è forse più scettica nei confronti delle nuove tecnologie?
 
In Germania sono soprattutto le strutture di finanziamento ad essere diverse, non sono molti i fondi speculativi specializzati in “seed capital”. L’ipotesi sulla quale lavorano è che finanziando dieci piccole startup, una di esse riesca a realizzare profitti sufficienti ad ammortizzare tutti gli altri investimenti. Tipicamente, in Germania, le prime a investire in un nuovo business sono le casse di risparmio e le banche popolari. Poiché si può dire che gestiscano il denaro della comunità, come partner commerciali operano con prudenza ed è meno probabile che investano in progetti.
 
Quindi si tratta piuttosto di un problema strutturale.
 
E anche di qualcosa che potrebbe cambiare: le università, ad esempio, si sono rese conto di questa lacuna e ora stanno investendo attraverso incubatori interni che forniscono supporto nella fase iniziale, dall’idea alla pianificazione, un tipo di supporto a bassissima soglia: gli incubatori mettono a disposizione uno spazio, una linea Internet, un account di posta. In Germania ci sono anche molti hacker spaces, nei quali grazie a finanziamenti pubblici o sponsorizzazioni, è a disposizione di tutti i profani interessati la tecnologia all’avanguardia di oggi, come i droni o le stampanti 3D. E come estensione degli hacker spaces, ci sono sempre più spazi speciali per il co-working. A Darmstadt, ad esempio, attorno agli hacker spaces Lab3 e Hub31 sono stati realizzati degli uffici per la prima fase di fondazione di startup.

Top