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Literaturhaus di Berlino
“Volevo di più, sempre di più”

Un dettaglio della mostra Leserinnen della pittrice Karoline Kroiß, in corso fino al 20 ottobre alla Li-Be.
Un dettaglio della mostra Leserinnen della pittrice Karoline Kroiß, in corso fino al 20 ottobre alla Li-Be. | © Goethe-Institut Italien | Foto: Giulia Mirandola

Incontro la scrittrice Judith Schalansky a pochi giorni dalla sua partenza per Vienna, dove le verrà ufficialmente conferito il prestigioso Christine Lavant Preis 2020. In Italia i suoi libri sono editi da Nottetempo e da Bompiani.

Di Giulia Mirandola

Al civico 23 della Fasanenstrasse fervono i lavori di manutenzione del giardino e di fronte alla villa una squadra di operai è nel pieno della ristrutturazione di un edificio storico. Per conversare in pace lasciamo i decibel del decespugliatore e della betoniera all’esterno e ci accomodiamo nella caffetteria. In sottofondo giungono adesso la melodia di un pianoforte e le voci di chi, come noi, ha il piacere di fare una splendida prima colazione.
 
Come è fatta la colazione di Judith Schalansky?
 
Amo il caffè, è la droga che mi permetto ogni mattina, poi mangio uno yogurt al quark con noci, frutta e olio di semi di zucca. Spesso accompagno nostra figlia a scuola e lei puntualmente mi fa una domanda alla quale non so rispondere: “Perché la scuola inizia così incredibilmente presto?”.
 
Ci troviamo alla Literaturhaus. Quando ha visitato per la prima volta questo luogo? Che significato ha oggi per Lei?
 
La Literaturhaus è un luogo tipico di Berlino Ovest. Qui ho tenuto alcune presentazioni, non saprei ricostruire la prima in assoluto. È buffo, ma oggi abito non lontano dalla Fasanenstrasse e la Li-Be dà sempre l’impressione di essere un’isola, anzi, un’oasi. Trovo estremamente positivo che attualmente ci sia un team in grado di reinterpretare in modo totalmente nuovo quest’antica e prestigiosa dimora.
 
In questa villa è vissuto Richard Hildebrandt, protagonista delle prime due spedizioni tedesche al Polo Nord. In “Atlas der abgelegenen Inseln”(*) Lei esplora cinquanta isole “dove non sono mai stata e mai andrò”, come recita il sottotitolo. Leggere secondo Lei è una forma di spedizione?
 
Assolutamente sì. Vale per chi legge, ma anche per me stessa mentre scrivo. Mi rallegro quando posso esplorare un argomento. Lavorare all’Atlas mi ha dato la possibilità di andare lontano senza lasciare la scrivania. Spesso le spedizioni permettono di raccogliere del valido materiale per riflettere sul modo di raccontare delle storie. In fondo, quella che si reinterpreta sempre è l’epica eroica, ma molte volte mi attirano le lacune nelle fonti, gli insuccessi, le compensazioni, il momento in cui, durante la spedizione sull’isola neozelandese di Campbell, la nuvola che passa davanti al sole nasconde il passaggio di Venere. Per me il concetto di letteratura come finzione è ingannevole: io mi muovo nella zona di confine tra letteratura e saggistica.
 
Il luogo in cui Lei scrive abitualmente è la Stabi (Staatsbibliothek). Che cosa sono secondo Lei un libro e una biblioteca?
 
Una biblioteca è una collezione di libri. Un libro è un mezzo. È il mezzo nel quale io penso. La sua forma attuale è la stessa da molti secoli, e in esso forma e contenuto sono necessariamente fusi tra loro. A volte mi pare che anche per un libro si possa distinguere tra anima e corpo, e che allora ogni nuova edizione possa essere una reincarnazione.
 
Dal 2013 dirige la collana “Naturkunden” per la casa editrice berlinese Matthes & Seitz. Cosa ricerca nella natura? Che significato ha per Lei curare questo programma editoriale?
 
Nella natura mi affascinano soprattutto quegli organismi che minano le consuete categorie e che a dispetto delle numerose ricerche scientifiche restano di difficile definizione, come ad esempio i coralli o i funghi. Jutta Person, l’autrice di Korallen (Coralli), scrive che ai coralli si continua a “dare del Lei”, mantenendo una certa distanza. Questa estraneità si manifesta già nella loro organizzazione, che è completamente diversa dalla nostra: in senso stretto, per i coralli non si può affatto parlare di individui, ma piuttosto di colonie, di fusioni e risulta superato il concetto di “io” e “noi”, ma noi, come esseri umani, nonostante sappiamo in realtà che la vita è altamente simbiotica, ci comportiamo per lo più come se vivessimo in un bunker.
 
La collana Naturkunden mi concede una posizione ideale: insieme all’editore Andreas Rötzer posso definire un programma senza portare sulle mie spalle il peso degli altri compiti di una casa editrice.

  • La scrittrice Judith Schalansky nel giardino della Li-Be © Goethe-Institut Italien | Foto: Giulia Mirandola
    La scrittrice Judith Schalansky nel giardino della Li-Be
  • Il giardino della Li-Be visto dal balcone principale © Goethe-Institut Italien | Foto: Giulia Mirandola
    Il giardino della Li-Be visto dal balcone principale
  • Per conversare in pace ci accomodiamo nella caffetteria © Goethe-Institut Italien | Foto: Giulia Mirandola
    Per conversare in pace ci accomodiamo nella caffetteria.
  • Direzione Fasanenstrasse 23! © Goethe-Institut Italien | Foto: Giulia Mirandola
    Direzione Fasanenstrasse 23!
  • La scala che porta al primo piano è anche una installazione sonora. © Goethe-Institut Italien | Foto: Giulia Mirandola
    La scala che porta al primo piano è anche una installazione sonora.
  • La splendida veranda del Wintercafè © Goethe-Institut Italien | Foto: Giulia Mirandola
    La splendida veranda del Wintercafè.
  • La scala che porta al secondo piano, dove soggiornano gli ospiti della Li-Be © Goethe-Institut Italien | Foto: Giulia Mirandola
    La scala che porta al secondo piano, dove soggiornano gli ospiti della Li-Be.
Lei ha studiato Storia dell’arte e Design della comunicazione. Cosa hanno in comune le parole e le immagini?
 
È una domanda molto vasta. Per la lettura delle immagini non occorre necessariamente l’alfabetizzazione, non serve una formazione specifica. Quando studiavo Storia dell’Arte all’università mi è capitato spesso di dover descrivere dei dipinti e per me era un’esercitazione meravigliosa. La sfida sta nel descrivere con precisione un’immagine senza interpretarla. Insegna a osservare con attenzione ed è un allenamento eccezionale per imparare a scrivere.
 
Da bambina leggeva libri illustrati? Aveva un libro preferito?
 
Un libro per bambini che adoravo è Der kleine Häwelmann (Il piccolo Häwelmann) di Theodor Storm. Nella DDR ce n’era una edizione illustrata da Hans Ticha, dalle immagini un po’ inquietanti. Il piccolo Häwelmann è un bambino che non vuole dormire. Quando la mamma è ormai profondamente addormentata, lui comincia ad andare in giro nel suo lettino a rotelle: prima nella cameretta, ma poi spingendosi fuori, veleggiando attraverso la città e anche nel bosco. La luna gli fa luce, ma gli chiede continuamente: “Ragazzino, ma non ti basta?”, e il bambino le risponde: “Nein, mehr, mehr! (No, di più, sempre di più!) Tutto il mondo deve vedermi girare!”. Questa storia mi entusiasmava: anch’io volevo “mehr und mehr” (di più, sempre di più) e come lui volevo viaggiare in giro per il mondo. Alla fine della storia, il bambino finisce nel “grande specchio d’acqua”, ossia nel mare (“Meer”), e a me piace moltissimo la somiglianza di suono delle due parole “Meer” (mare) e “mehr” (di più).
 

(*) Edizione tedesca: mare Verlag, 2009; edizione italiana: Atlante delle isole remote, Bompiani 2013.
 
 
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Si ringrazia
Literaturhaus Berlin © Literaturhaus Berlin



 

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