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​Rifugiati del clima | di CARMEN HIDROBRO e BELÉN HINOJAR
La crisi climatica è una crisi sociale

Ogni anno il cambiamento climatico costringe alla fuga circa 20 milioni di persone. Il loro diritto ad essere tutelati e aiutati, però, è molto limitato. Si tratta quindi di una crisi sociale che colpisce soprattutto chi contribuisce meno alle cause del cambiamento climatico.

Di Carmen Huidobro e Belén Hinojar

Grandi sconosciuti

Rifugiati del clima, sfollati ambientali o “climigranti”: diverse denominazioni per descrivere una delle conseguenze più drammatiche, benché non la più evidente, della crisi climatica già in atto. Come attivist*, dobbiamo saperlo ed essere perfettamente consapevoli del fatto che la crisi climatica, alla fine, è una crisi sociale.
 
I rifugiati climatici sono persone costrette a emigrare a causa di cambiamenti subiti dal loro ambiente in conseguenza del cambiamento climatico quali inondazioni, siccità, desertificazione... Secondo i dati forniti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, più del 98% dei 30,7 milioni di emigrazioni registrate nel 2020 hanno avuto come causa fattori ambientali. L’UNHCR stima una media annua di sfollati per questi motivi attorno ai 20 milioni. Il seguente grafico pubblicato da El País illustra i diversi concetti e le ragioni degli spostamenti.
Fonte: IDMC, El País Fonte: El País | © IDMC

Mancanza globale di protezione

Abbiamo contattato Francisco Rojo di Accem, una ONG spagnola che offre sostegno ai rifugiati e ad altre persone vulnerabili. Il Patto mondiale per una migrazione sicura, ordinata e regolare (GCM, approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite) riconosce l’esistenza di “movimenti migrator” causati da catastrofi naturali e dagli effetti negativi del cambiamento climatico, esortando i firmatari a ridurre al minimo i fattori strutturali di tali movimenti migratori. Tuttavia, non concede uno status legale ai migranti e, di fatto, tenta solo di ridurre al minimo i fattori che costringono le persone ad abbandonare per questo motivo i Paesi d’origine. 

Il sostegno dell’attivismo

Francisco afferma che finora in Accem “non ci siamo imbattuti in persone che abbiano motivato la propria richiesta di protezione su un’emigrazione forzata per ragioni climatiche, ma è certo che chi abbandona il proprio Paese è spesso in cerca di una vita migliore. Pur non dichiarandolo espressamente, possono aver lasciato il Paese d’origine a causa degli effetti del cambiamento climatico sulle loro condizioni di vita, ad esempio l’impossibilità di svolgere un’attività economica, che può averli spinti a emigrare”.
 
Al giorno d’oggi è una situazione di profonda ingiustizia, poiché le popolazioni più colpite sono proprio quelle che contribuiscono in minor misura alle emissioni globali: secondo uno studio condotto da Oxfam Intermón, gli abitanti della Somalia e dell’India, per esempio, rispetto a popolazioni di Paesi ad alto reddito come la Spagna e gli Stati Uniti hanno una probabilità quattro volte più alta di essere sfollati.

Sappiamo però che il numero di rifugiati continuerà a crescere di pari passo con l’aumento delle ripercussioni climatiche, e sta a noi sollecitare i governi ad agire per dare una tutela legale a queste persone, sostenere le nostre organizzazioni che lavorano per la causa dandole visibilità e investendovi tempo e denaro, e aumentare la consapevolezza delle ripercussioni attuali e future del cambiamento climatico sulle persone.
 
È proprio di questo che si occupa il movimento Pass the Mic, di cui ci parlerà Lola dal Belgio nell’ultimo articolo della stagione, dando voce e visibilità ai cosiddetti MAPA (Most Affected People and Areas), gente che raramente ha l’occasione di essere ascoltata.
 
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