Intervista con Sascha Lobe
Nuova libertà nel graphic design
Il graphic designer Sascha Lobe, progettista di marchi e identità visiva di giganti come l’Adidas e il Bauhaus, racconta in un’intervista com’è cambiato il design della comunicazione e quali progetti trova particolarmente stimolanti.
Di Romy König
Signor Lobe, lei lavora come graphic designer da oltre vent’anni: sono clienti del suo studio di design della comunicazione grandi marchi come Daimler, Adidas e Hugo Boss, oltre a famosi istituti d’arte e musei. Secondo lei, com’è cambiato il graphic design negli ultimi anni?
Il graphic design oggi gode di grande libertà. Da un lato sono cambiati i mezzi di produzione: il graphic designer può occuparsi da solo di molte cose per le quali in passato occorreva una tecnologia altamente professionale o l’aiuto di un esperto appositamente formato, ad esempio un tecnico tipografo. Con i programmi intuitivi che esistono oggi, invece, è autonomo nel tagliare filmati, integrare musica, progettare nuovi font… l’attività del graphic designer ora è incredibilmente varia. E se da un lato va molto il minimalismo, il bianco e nero, soprattutto in ambito tipografico, dall’altro piacciono molto anche le immagini, l’opulenza e il colore dei collage. In effetti è come nella moda, dove i grandi modelli e le correnti sono venuti meno per far spazio all’individualismo.
Lei ha lavorato per clienti di ogni genere e diverse istituzioni internazionali. Qual è stato l’incarico che le ha richiesto più impegno?
La sfida più avvincente è stata ed è tuttora l’incarico per l’Archivio del Bauhaus di Berlino: stiamo lavorando dal 2014 alla sua nuova identità visiva. Un progetto potenzialmente rischioso.
Perché?
Perché il Bauhaus è un mito assoluto, e come per tutti i miti, ognuno vuol dire la sua e pensa di saper fare di meglio. Per noi è stato una grande sfida riflettere su come sintetizzare l’immagine del Bauhaus e come trasmetterla senza storicismo, cioè come trasportare ciò che faceva il Bauhaus, le sue idee di design del 1919, nel 2018.
Che tipo di approccio avete scelto?
Abbiamo analizzato nel dettaglio tipografia e graphic design del Bauhaus, li abbiamo scomposti e poi ricomposti, ad esempio prendendo come punto di partenza un carattere tipografico del graphic designer del Bauhaus Herbert Bayer e poi “levigandolo” per renderlo più funzionale. Poi abbiamo studiato i principi costitutivi di altri caratteri tipografici progettati al Bauhaus, rielaborandoli e adattandoli come “glifi alternativi”, aggiungendone così oltre 500, e in questo modo siamo riusciti a dare un’impronta grafica chiaramente riconducibile al Bauhaus, ma in forma contemporanea.
È molto interessante l’attività in Asia: la Corea del Sud negli ultimi anni ha lavorato moltissimo, con forti riferimenti al cosiddetto Swiss Style, uno stile molto in voga negli anni Cinquanta e Sessanta. L’aspetto e la logica, all’epoca, erano rigorosi e orientati alla griglia, e il design era dominato da ordine e funzionalità. I coreani prendono questo design come base e ispirazione per il loro artigianato e lo combinano con il loro ottimismo asiatico e con un “anything goes” che crea un miscuglio entusiasmante di stili, che a sua volta influisce sul design europeo.
Stanno nascendo nuovi stili anche nei Paesi europei? Forse in Italia, dove quest’anno ha partecipato come relatore ospite ai Torino Graphic Days?
No, non ci sono tendenze attribuibili a provenienze geografiche specifiche, anzi direi che non esiste nemmeno uno stile prettamente europeo, perché quello che si progetta negli Stati Uniti è simile a ciò che viene progettato in Europa. Negli ultimi decenni i confini si sono dissolti.
C’è un progetto che le piacerebbe realizzare, una sorta di incarico da sogno?
Mi piacerebbe rinnovare l’immagine del Premio Nobel, conferirgli un’identità visiva ben studiata e adeguata al suo successo. Sarebbe una bella sfida, ma preferisco non sognare e restare con i piedi per terra: al momento stiamo già facendo qualcosa di veramente entusiasmante per la Biblioteca Nazionale del Lussemburgo: stiamo progettando e realizzando la segnaletica di indicazione e orientamento del nuovo edificio della biblioteca. È proprio un bell’incarico, e poi secondo me il progetto più entusiasmante è sempre quello che sta per arrivare.