Germania in Italia
“L’impresa è un lavoro di squadra”
Intervista con Hannah Teichmann, scienziata e imprenditrice, fondatrice di MMI, Medical Micro Instrument, azienda toscana che si occupa di robotica per la microchirurgia.
Di Maria Grazia Pecchioli
Per capire come viene percepita dagli italiani l’Europa a guida tedesca, nel semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione, abbiamo realizzato una serie di interviste a cittadini tedeschi residenti in Italia. Attraverso il loro sguardo vogliamo capire quanto l’Europa e i nostri Paesi stiano cambiando o quanto saranno capaci di cambiare.
Dottoressa Teichmann, lei vive in Toscana da diversi anni, può raccontarci il suo rapporto con l’Italia e con la cultura italiana? E qual è il contributo che invece pensa di aver dato all’Italia?
Ho avuto la fortuna di frequentare la scuola europea a Karlsruhe, dove avevo compagni di scuola di 12 diverse nazionalità europee, tra loro anche italiani. Questa esperienza nei primi diciotto anni mi ha dato una forte identità europea. Dopo la laurea ho scelto di fare un master a Napoli, e lì ho potuto conoscere meglio la cultura e la lingua italiana. Poi sono stata sei anni in California, dove ho conosciuto mio marito, che è italiano. Nel 2012 ci siamo trasferiti in Toscana. Nel mio bagaglio c’è un mix culturale tedesco-italiano. La Toscana rappresenta un punto d’incontro fra Germania e Italia meridionale. Poi chiaramente c’è stato anche un momento di adattamento, ma vari aspetti, ormai, sono entrati profondamente nel mio bagaglio personale, anche a casa, nel cucinare, nel parlare l’italiano, una delle nostre lingue in casa. Abbiamo messo veramente delle radici, qui in Toscana. Oggi abbiamo una società con 50 dipendenti, in maggioranza toscani. Non so se ho portato, come tedesca, una parte della mia cultura nell’ambiente di lavoro. Credo che sia più una contaminazione.
Riceve dei feedback dai lavoratori o dai colleghi?
Quando si parla di cultura, il rischio è di finire sempre negli stereotipi. Quindi diciamo che sicuramente di tedesco c’è quella parte importante di dare attenzione al dettaglio. Ma questa tendenza può anche essere un limite nel business. Cioè bisogna fare le cose con lo sforzo giusto per raggiungere il risultato, quindi mirare al risultato e al dettaglio. Quindi prevale anche qui l’incontro tra la cultura italiana e la cultura tedesca, che credo porti frutti e sia vincente.
Italiani e tedeschi, oltre gli stereotipi
Invece, proprio parlando di stereotipi, in qualche modo ritiene ci siano più aspetti comuni o differenze tra le nostre culture nazionali?A questa domanda mi viene più facile rispondere, perché venendo in Italia dagli Stati Uniti, quindi da una terza cultura, si vede anche quali sono gli aspetti più comuni fra Italia e Germania. Le cose principali che mi vengono in mente sono i legami con la propria storia e cultura nazionale, un bagaglio completamente diverso da quello americano. E c’è anche un’emotività più spontanea, anche se questo aspetto non si associa molto ai tedeschi. C’è in realtà un’emotività sincera che riscontro sia nella cultura italiana che tedesca. Una cosa che ho notato molto e che mi piace molto qua in Italia: le persone si parlano per strada, si raccontano quello che sta succedendo in quel momento, magari in autobus o per strada o al bar, e questa è una cosa meno frequente in Germania, che però mi piace. Spesso è un po’ uno sfogo, ma anche un’opportunità.
E i difetti degli italiani, invece, quali sono?
Mi mettete in difficoltà… Sicuramente c’è una tendenza ad andare meno nel dettaglio, a fare le cose più a livello grande, che non c’è nella cultura tedesca. E tutti questi tratti credo possano essere considerati sia pregi che difetti. Poi c’è una fortissima differenza tra italiani e tedeschi su come vivono gli spazi privati e comuni. E qui ci prendiamo in giro l’uno con l’altro. Mio marito, ad esempio, mi chiede come mai la nostra casa sia disordinata, e io gli rispondo che deve guardare piuttosto come “noi tedeschi” teniamo gli spazi comuni: l’attenzione deve essere a quello che è condiviso e pubblico. Se io non ripongo le mie scarpe nella scarpiera, questo non provoca un danno alla società. Anche sotto il profilo dell’igiene vedo che c’è molta più attenzione all’igiene qui in Italia, dal lavarsi le mani all’attenzione sulla salute, come pure l’attenzione al mettere la mascherina, a non prendere il virus alla leggera. Ci sono stati un’attenzione e un input molto forti da parte del Governo ed ho visto una fortissima volontà di seguire linee guida e regole. In questo credo che l’Italia sia stata un esempio per il resto d’Europa.
Semestre tedesco, un cambio di rotta tra solidarietà e innovazione
Da luglio la presidenza del Consiglio dell’Unione è tedesca. A suo avviso viene percepito dagli italiani un cambio di rotta, con un passaggio dall’austerità alla solidarietà e verso un’Europa più attenta alla coesione tra i Paesi membri?Sì, secondo me si è sentito l’inizio di qualcosa in questo semestre tedesco. C’è stata sicuramente un’apertura maggiore, una coesione, una solidarietà maggiore verso i bisogni delle persone. Credo purtroppo che nella prima fase della pandemia ci sia stata una distanza, una mancanza di solidarietà tra i governi che ha creato un po’ di sconcerto. Chiaramente ci siamo sentiti tutti smarriti per questo evento che ha cambiato il nostro quotidiano, che ha avuto un impatto fortissimo economico su tante famiglie, anche sul vissuto dei giovani, dei bambini. Sì, c’è stato un cambiamento nella percezione della volontà delle istituzioni europee di sostenere l’Italia in questo momento e credo che siano stati fatti i primi passi verso una maggiore coesione. Chiaramente c’è la speranza di continuare ad andare in quella direzione.
Uno dei punti del programma tedesco è l’innovazione. Lei lavora in un settore in cui l’innovazione è predominante. Ha avuto modo di percepire che già c’è questa accelerazione, o ci sarà presto nel suo ambiente lavorativo?
Il settore in cui lavoro è quello dello sviluppo di dispositivi medici. La digitalizzazione, questa parte del programma del semestre tedesco, secondo me è meno impattante sulla nostra azienda di quanto non lo sia in tutti gli ambienti con i quali interagiamo, dalla sanità agli ospedali. Parliamo quindi di tutte le infrastrutture della digitalizzazione, delle quali possono approfittare la sanità e le strutture ospedaliere. Ecco, questo avrà delle forti ricadute a catena.
Le grandi potenzialità della robotica
Ci racconta qualche aneddoto, qualche storia particolare del suo lavoro nel campo della microchirurgia?Ora siamo in una fase molto bella di crescita, perché il prodotto che abbiamo sviluppato viene portato in ospedale e viene utilizzato sui pazienti. Ed è una grandissima soddisfazione. Si tratta di un sistema guidato dal microchirurgo per interventi di precisione, che si svolgono sotto ingrandimento ottico e che richiedono quindi una manualità molto molto elevata. C’è una grande potenzialità della robotica e questo è un momento di svolta nella società. Siamo partiti in tre co-fondatori e abbiamo lavorato sin dall’inizio con i chirurghi di Firenze, e ora è stato portato alla luce questo prodotto che è frutto di tanti anni di lavoro in varie fasi delle nostre vite. C’è in parte il mio vissuto personale, perché il dispositivo è cresciuto con il lavoro di famiglia di MMI. Se l’impresa è quello che l’individuo non può fare da solo, è un lavoro di gruppo e anche di crescita fino ad arrivare al risultato. Lo ritengo un momento importante, storico, sia per la società che mio personale.