Sineb El Masrar
Alman e spaghetti di gelato

Spaghetti di gelato
Quanto sono tipicamente “alman” gli spaghetti di gelato? | Foto: Daniel Reiter/Mauritius Images, Alamy

Sineb El Masrar è l’autrice del libro “Sind wir nicht alle ein bisschen Alman?”. L’abbiamo intervistata chiedendole cosa sia tipicamente tedesco, cosa dovremmo cambiare nella nostra cultura dialogica e cosa sceglierebbe lei, tra kebab e spaghetti di gelato.

Di Sineb El Masrar, Verena Hütter

Verena Hütter: Sineb, il tuo libro si intitola “Sind wir nicht alle ein bisschen Alman?” [Non siamo tutti un po’ “Alman”?]. Chi o cosa è “Alman”?

Sineb El Masrar: In Maghreb e in Turchia, “Alman” equivale a “tedesco” e deriva dal francese “allemand”, in riferimento al popolo germanico degli Alemanni. A partire dall’immigrazione in Germania dei cosiddetti “Gastarbeiter”, il termine si è diffuso, soprattutto tra i giovani provenienti ad esempio dalla Turchia o dal Marocco, dove affondano le mie radici.

E il termine, di per sé, non ha connotazioni né positive, né negative?

In sé, “Alman” significa semplicemente “tedesco” e si riferisce sia alla lingua, sia alle persone, in un’accezione neutra, diversamente da epiteti come “Kartoffel” o “Kraut”, con cui sono stati storicamente etichettati i tedeschi. Non è per esempio come “Spaghettifresser”, divoratori di spaghetti, dispregiativo a lungo diffuso nella società tedesca media nei confronti degli italiani, o come quello affibbiato ai turchi, “Knoblauchfresser”, divoratori di aglio.

Cliché o verità?

Leggendo il tuo libro, mi hanno fatto sorridere le tue descrizioni di persone che non verrebbe spontaneo definire tipicamente tedesche, visto il loro background di immigrazione, ma comunque caratterizzate da una buona dose di “Alman” che le avvicina in effetti moltissimo allo stereotipo tedesco. Tu stessa hai detto di avere origini marocchine, ma in cosa ti senti veramente “Alman”?

Ci sono diverse caratteristiche normalmente considerate tipicamente “Alman”, o tipicamente tedesche: la puntualità, la pedanteria, la diligenza, l’inventiva, o anche il pane, le patate e cose del genere. In qualcuna di queste mi ritrovo anch’io: per esempio, sono stata super puntuale per molti anni, prima di trasfermi a Berlino. Poi mi piace identificarmi con lo spirito d’inventiva: a vent’anni ho fondato una rivista femminile, mi fa piacere di averne avuto l’opportunità in questo Paese e anche questo è tipicamente tedesco.

La rivista che hai fondato si chiamava “Gazelle”. Qual è stato il tuo percorso? Hai sempre voluto fare la scrittrice?

Da bambina dicevo che volevo diventare stilista di moda, ma mio padre non ha avuto troppa difficoltà a farmi cambiare idea. Così ho seguito due percorsi formativi, nel campo pedagogico e in quello economico; mi sono interessata presto al giornalismo e ai media e sono sempre stata un’accanita consumatrice di riviste femminili e per ragazze, e ne ho sfogliate una marea, rendendomi rapidamente conto che ragazze come me, ossia con un background di immigrazione, non erano un target già considerato, o meglio che le nostre realtà non erano adeguatamente rappresentate.

In Germania, quando sui vari media si parlava di persone con un passato di immigrazione, solitamente si trattava di storie drammatiche e terrificanti, nulla che riguardasse la gente comune. Io ho voluto cambiare questo stato di fatto, fondando una rivista che descrivesse la vita reali in Germania di donne con un background di immigrazione. All’epoca, lavorando per una società di ricerche di mercato a Bochum, ho potuto approfittare delle conoscenze acquisite per effettuare un vasto sondaggio e rilevare che in effetti il mercato c’era, e a mancare era il prodotto. Era il 2023. Ho lavorato per tre anni al progetto della mia rivista femminile, e alla fine è nata Gazelle.

Spaghetti di gelato o kebab?

Hai accennato allo spirito d’inventiva e ne parli anche nel libro, presentando due fantastiche invenzioni culinarie che in effetti non sfuggono a un background di immigrazione: gli spaghetti di gelato e il kebab. Se dovessi scegliere tra i due, cosa ordineresti? Kebab o spaghetti di gelato?

Gli spaghetti di gelato mi ricordano l’infanzia, ci sono cresciuta; il kebab invece l’ho conosciuto più tardi, avevo credo 14 anni, quando l’ho mangiato per la prima volta. Ardua scelta! Istintivamente propenderei per gli spaghetti di gelato… ma certo che proprio ieri mi sono salvata con un kebab, perciò li ordinerei entrambi! (ride)

Nel tuo libro citi Hugo Münsterberg, psicologo tedesco-americano che all’inizio del ’900 affermava che ai tedeschi, cioè agli Alman, piacevano solo la pipa, la birra e lo skat” [N.d.T.: tipico gioco di carte] e altrimenti erano “ingessati nel loro burocratismo”. Quale caratteristica degli Alman ti infastidisce di più?

Il burocratismo, perché spesso è fortemente connesso alla mancanza di flessibilità, all’incapacità di allontanarsi dagli schemi. Se ti muovi sempre all’interno dello stesso solco, non inventerai mai nulla di nuovo, non potrai mai migliorare qualcosa. Quando servono creatività e inventiva, è necessario prendere nuove strade.

Allegria o seriosità?

Com’è nato il tuo libro, come ti è venuta l’idea?

È stata una reazione a molte discussioni che ho avuto sugli Alman, sulle patate, su questioni come “chi siamo?”, “chi sono gli altri?”. Per carattere amo affrontare gli argomenti con umorismo, qualcosa che nel confronto spesso manca. Già nel mio primo libro, Muslim Girls, ho usato un tono molto allegro e una generosa dose di umorismo, pur trattando un tema indubbiamente serio. E anche in quest’altro libro ho trovato importante il taglio umoristico, la leggerezza, l’evitare di prendere sempre tutto tremendamente sul serio, di lasciarsi ossessionare dalla continua ricerca della perfezione.

Qualcuno ha visto il libro come un attacco e per me è significativo, perché vuol dire che negli ultimi anni, nel dibattito sull’immigrazione, sulle persone con una storia di immigrazione e sull’integrazione, più di qualcosa è andato storto.

Stai dicendo che ci sono state reazioni negative al tuo primo libro. Puoi dirci di più?

Alcune critiche della stampa sono state condivise sui social, e sotto i post si sono scatenati commenti anche carichi di odio e aggressività, spesso scritti da persone che nemmeno avevano letto il libro o l’articolo citato. Il mio nuovo libro esce alla fine di marzo 2024 e riguarda il nostro modo di comunicare. Voglio mostrare le dinamiche che ci sono dietro e anche da dove nasce la necessità di una costante indignazione. In questo Paese sono molti i problemi da affrontare, ma per farlo, dobbiamo essere capaci di ascoltare, anzi ascoltare viene proprio al primo posto. Solo dopo possiamo formulare delle controargomentazioni, sempre che siano pertinenti, ma soprattutto cercare delle soluzioni.

Siamo una società eterogenea, non sempre possiamo essere tutti d’accordo, non viviamo tutti la stessa vita. Come società, però, dobbiamo trovare un consenso, incontrarci a metà strada e riuscire ad accettare di sacrificare qualcosa, pur di vivere in armonia all’interno della società.

ultime pubblicazioni di Sineb El Masrar

Sind wir nicht alle ein bisschen Alman?, Herder 2023
Heult leise, Habibis!, Eichborn Verlag 2024

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