L’Europa e le sue contraddizioni
Visioni e riflessioni sul futuro del sogno europeo a 60 anni dal Trattato di Roma

Sul divano verde – I dibattiti al Goethe-Institut
© Goethe-Institut Rom / Grafica: Celeste Aresu

Per i dibattiti della serie Sul Divano Verde il Goethe-Institut, in collaborazione con la rivista Internazionale, dedica l’inizio del 2017 all’Europa e alle sue contraddizioni. Il primo incontro ha come tema i sessant’anni dell’Unione, e si svolge a immediato ridosso dell’anniversario celebrato a Roma dai leader dei ventisette Paesi aderenti

Con la moderazione di Andrea Pipino di Internazionale, cercano di far luce sul futuro dell’Unione Europea Tonia Mastrobuoni, corrispondente da Berlino del quotidiano la Repubblica e Joachim Fritz-Vannahme, direttore di Programm Europas Zukunft/Fondazione Bertelsmann, think-tank che sostiene il processo di integrazione europea. Europa a più velocità e difesa comune, euroscetticismo e Stati Uniti d’Europa, profughi e populismi, sono solo alcuni dei temi trattati.

Il futuro tra crisi e ottimismo

Pipino apre il dibattito con quello che per lui è un dato di fatto, che l’Europa non sia mai stata così debole. Si chiede quando sia cominciata la crisi, se nel 2005, quando sono falliti i referendum sulla costituzione europea, o se ancora prima, a seguito del trattato di Maastricht, che fissa le regole politiche e i parametri economici e sociali necessari per l'ingresso nell’Unione. Si poteva, insomma, è la sua domanda a Mastrobuoni e Vannahme, “pensare che oggi ci saremmo trovati in una situazione del genere?”

Mastrobuoni è più ottimista. “Già i trattati di Roma del 1957 sono figli di un fallimento che origina in Francia, quello sul primo progetto di difesa europea. L’Europa è abituata ad arresti e partenze, a piccole e grandi crisi, perché non è facile tenere insieme così tante identità. Errori sono stati fatti, ma l’errore più grave è stato lasciare l’Europa senza guida politica. Io, ricordando appunto la storia dei trattati di Roma, mantengo la speranza che l’Europa possa riprendersi, anche se è un momento difficile”.

E tutto sommato altrettanto ottimista è Vannahme. “Se collochiamo l’Europa in una cornice più ampia, vediamo che non è ridotta poi così male, che l’immagine non è così drammatica come viene comunicata. Se facciamo un paragone tra l’Unione Europea così come è oggi e gli USA, tutti i parametri sono a favore dell’Europa, divario sociale, investimenti, educazione, sanità. In realtà noi europei siamo abituati alle crisi interne ma per la prima volta dobbiamo affrontare crisi esterne, come quelle dei migranti e della decadenza e del crollo degli stati vicini o confinanti, da soli, senza che gli americani ci difendano come durante la Guerra Fredda.

Euroscetticismo, profughi e solidarietà

Dalla crisi all’euroscetticismo e alla questione profughi il passo è molto breve. “Gli euroscettici sono soprattutto cittadini che, in tempi di crisi economica”, introduce l’argomento Pipino, “pensano di non essere stati difesi adeguatamente dalle istituzioni europee. Se ha ragione Vannahme, c’è sicuramente un problema di comunicazione da parte dell’Unione Europea o forse i segni di malessere sono stati sottovalutati?” La risposta di Mastrobuoni è netta. “Si è vero, c’è stata una narrativa spesso lacunosa, anche da parte dei giornali, sui problemi economici e sociali della popolazione. E anche la sinistra in questi anni è stata influenzata da una specie di incantesimo neoliberista, per esempio la precarizzazione, che in Italia abbiamo chiamato flessibilità e che non è supportata da un sistema sociale abbastanza forte. Oggi i populismi catturano un malessere, si appropriano delle istanze abbandonate dalla sinistra, che però ripropongono solo con slogan vuoti. In Europa comunque vedo una grande discrepanza su come vengono applicati i trattati economici, con una severità enorme, e gli altri trattati, come quelli sui profughi, che non hanno nemmeno un meccanismo sanzionatorio per chi non li rispetta.”

Vannahme preferisce invece spostare la discussione sul tema della solidarietà. “La Germania non ha fatto comunque una bella figura sui profughi, perché i vari governi hanno sempre detto abbiamo il trattato di Schengen, abbiamo il trattato di Dublino, il resto sono fatti vostri. Ma i trattati sui profughi sono stati stilati per una realtà che non corrisponde a quella di oggi, sono stati stilati per poche migliaia di persone e non per la massa che è arrivata successivamente. Non è solo un problema di solidarietà, il problema è dei governi nazionali che hanno sempre l’ultima parola, e dei loro condizionamenti. Il problema è che manca una volontà politica europea. Avremmo bisogno oggi più che mai degli Stati Uniti d’Europa, ma forse non possiamo più realizzarli, perché ventisette Paesi sono troppi e non possono agire in maniera sufficientemente ponderata quando si hanno dei problemi alle soglie delle nostre porte.”

L’Europa a più velocità è una sconfitta?

Il discorso sugli Stati Uniti d’Europa e la questione se ventisette Stati membri siano troppi porta il discorso sull’Unione a più velocità. “Ma l’Europa a più velocità, non è una sconfitta?”, chiede Pipino a questo punto. “L’Europa a più velocità di fatto già esiste”, sottolinea Mastrobuoni, “se domani la formalizziamo, diamo solo un segnale, che ci siamo stancati di mettere intorno a un tavolo ventisette Paesi. È meglio procedere in ordine sparso sui temi che ci interessano e chi ci ama ci seguirà. Forse è eccesso di pragmatismo, vedremo. Sulla difesa europea pare ci si arrivi. A questo proposito, per esempio, la Germania al momento è l’unico Paese che si pone il problema delle frontiere. Se non vogliamo, e non lo vogliamo, rimettere le frontiere interne, dicono i tedeschi, dobbiamo rendere più solide le esterne, dando anche fondi agli Stati africani, affinché gestiscano la migrazione.” “E non bastano certo millecinquecento soldati europei a presidiare le frontiere esterne”, interviene Vannahme, “ci vorranno anni di trattative per sviluppare un esercito europeo. Nel frattempo, chi non vuole profughi sul suo territorio, come per esempio i polacchi, potrebbe mettere soldati alle frontiere esterne o stanziare fondi, col sistema dello scarico di oneri. In generale dobbiamo prenderci l’incarico di gestire i beni pubblici in maniera comune, questo porterebbe finalmente a una vera res publica.”

“L’elemento di novità è la ricerca di una soluzione politica”, aggiunge Mastrobuoni, “oggi l’idea di mandare soldati in Egitto o Mali può essere un’idea cinica ma giusta, e comunque non si tratterebbe solo di militari ma principalmente di stipulare accordi economici, vedi Turchia. Dobbiamo rivedere il paradigma da un punto di vista pragmatico insomma, cosa vuol dire essere solidali?”

L’Unione Europea come “società aperta”

Il discorso su profughi e migranti porta, alla fine del dibattito, forse inevitabilmente, ai muri e ai populismi. “La narrazione delle destre e dei populisti ha avuto la meglio nel racconto dei migranti”, osserva Pipino, “ma cosa intendiamo quando diciamo ‘difendere le frontiere’, un muro come in Ungheria?” La risposta la dà Vannahme. “L’approccio dei partiti moderati nel contrastare i populisti è sbagliato. Non bisogna dire loro che hanno idee riprovevoli verso i profughi. Bisognerebbe chiedere a Lepen e a Grillo quali sarebbero i costi delle loro politiche protezionistiche e antieuropeiste, la loro narrativa deve essere contrapposta da domande concrete. Viviamo un periodo di svolta, Destra e Sinistra non scompariranno ma diminuirà il divario tra loro. La lotta è tra ‘società aperta’ e ‘società chiusa’. Non è una lotta tra buoni e cattivi come durante la Guerra Fredda, ma ci sono molti che hanno paura delle ‘società aperte’. I politici non populisti devono spiegare perché la via verso la ‘società chiusa’ è una strada più facile ma più costosa, più pericolosa in termini economici e sociali. La ‘società aperta’ non deve fare paura ed è l’unica che ha portato dei progressi. Abbiamo vissuto per secoli dentro questo continente all’interno di ‘società chiuse’ che hanno portato solo guerre. Una ‘società aperta’ come l’Unione Europea ha invece portato sessanta anni di pace. L’Europa oggi ha però un sistema politico che non ci soddisfa. Dobbiamo tornare all’idea degli Stati Uniti d’Europa, ma al momento non ne vedo la volontà, né degli Governi, né dei cittadini.”