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Regolamentare tutto nel minimo dettaglio
Burocrazia

Immagine con semafori contraddittori
Burocrazia: tutto comincia con una regola semplice e chiara | Foto (dettaglio): © mauritius images / STOCK4B / Felbert+Eickenberg

Come gestire al meglio in famiglia il tempo che i bambini possono dedicare ai media? Dando delle regole, inizialmente semplici. Maximilian Buddenbohm ci fa riflettere sulla burocrazia.

Di Maximilian Buddenbohm

Ricordo quando i miei figli, circa dieci anni fa, erano più piccoli e noi genitori pensavamo di dover organizzare moltissime cose, ad esempio gli orari da destinare ai media, ossia il tempo che potevano passare giornalmente davanti a uno schermo. Non è un bel ricordo, perché era argomento di battibecco per eccellenza, e sicuramente non riguardava solo la nostra famiglia. Con il senno di poi, posso dire che sono poche le questioni che, nella vita, mi hanno dato tanto sui nervi quanto quelle interminabili discussioni sul tempo da trascorrere davanti allo schermo e tuttora mi urtano il sistema nervoso. Ma l’argomento non era trascurabile, perché se fosse stato per loro, i bambini sarebbero rimasti incollati ai vari dispositivi 24 ore su 24, mentre noi volevamo limitarli in maniera decisa, e come genitori dovevamo stare dalla parte della ragione, come del resto compete a un adulto.
 
E perciò, all’epoca, decidevamo delle regole. Come avremmo potuto fare altrimenti?
 
A volte ci riunivamo in maniera pseudodemocratica in una sorta di consiglio di famiglia, forti delle nostre ambizioni pedagogiche e della voglia di far bene, coinvolgendo i bambini, insegnando loro il concetto di votazione e di compromesso, di regole e di cooperazione. Per lo meno in teoria.

Tutto cominciava con una regola semplice e ovvia

Nel nostro consiglio di famiglia partivamo sempre da una regola semplice e ovvia, una sorta di comandamento elementare, del tipo: “Vi concediamo un’ora e mezza al giorno”. Una decisione rapida e facile, sia da ricordare che da applicare. Questa chiarezza, però, durava pochissimo, perché diventava immancabilmente indispensabile fare qualche distinguo, per esempio tra i due figli, perché in fin dei conti uno ha due anni più dell’altro e in effetti faceva differenza, per cui la regola andava adeguata. Poi bisognava differenziare anche tra i giorni di scuola, da un lato, e i fine settimana o i festivi, dall’altro, essendo notevolmente diverso il tempo libero a disposizione. Come non tener conto, poi, anche dei vari periodi di vacanza? E così, tutti e quattro, avevamo un gran da fare nella ricerca di soluzioni ad hoc, per non parlare delle regole speciali da far valere in base al comportamento, perché da bravi educatori tendevamo a mercanteggiare in maniera più o meno spudorata: se fai (o non fai) questo o quello, puoi giocare di più (o di meno) con il cellulare. E così giungevamo a ulteriori accordi, che in quel momento e per un po’ sembravano anche avere senso. In sostanza, era praticamente impensabile fin dall’inizio che quella semplice regola iniziale potesse rimanere tale.
 
Ho fortunatamente rimosso la maggior parte delle terribili discussioni di quel periodo, ma mi è rimasto bene impresso un consiglio di famiglia particolarmente riuscito, forse l’ultimo di quel tipo, prima che i figli diventassero finalmente adolescenti e noi rinunciassimo ad ambire al ruolo di educatori modello. In quell’ultimo consiglio di famiglia abbiamo ridiscusso tutto a fondo, ridefinendo ogni cosa nel dettaglio ed era stata una bella soddisfazione aver portato avanti le trattative in maniera più strutturata, tranquilla e costruttiva.

Precisazioni, distinguo e particolarità

Anche in quel caso eravamo partiti da una semplice regola di base, che però nel corso degli anni era diventata sempre meno ferrea: come sempre, tutti i membri della famiglia avevano aggiunto precisazioni, distinguo e particolarità, tutte cose che sembravano valide e sensate, fin quando il numero di specifiche aveva raggiunto la doppia cifra, e così mia moglie aveva deciso che bisognava mettere tutto per iscritto, andando a prendere carta e penna.
 
Ricordo bene quel pezzo di carta, me lo vedo ancora davanti: era un foglio A5 a quadretti, strappato da un quaderno, con un elenco perfettamente ordinato, ben 18 paragrafi suddivisi in punti e sottopunti. Ma ricordo anche che quelle regole così ben concepite, alla fine, sono rimaste solo sulla carta, perché a livello pratico non hanno mai trovato applicazione, neanche per un giorno. Avevamo talmente burocratizzato la regola di base da renderla del tutto inapplicabile. Sarà capitato anche a voi in altri ambiti, immagino.
 
Era tutto troppo complicato, anche se nelle nostre trattative, partendo dalla regola di base, avevamo ricavato tutte le disposizioni, le eccezioni e i casi speciali in modo logico e di comune accordo. Era stato il nostro consiglio di famiglia più sensato di sempre, ma alla fine anche il più inutile. Mi sta venendo giusto in mente un parallelismo con la politica: anche il miglior governo... ma è meglio non divagare troppo.

Dall’eccessiva burocratizzazione alla totale impraticabilità

In ogni caso, successivamente a quell’accordo tanto minuziosamente ponderato, nessuno di noi è più riuscito a ricordare neanche lontanamente cosa avessimo considerato opportuno e come riuscirci. Quel giorno non abbiamo trovato l’unico modello corretto, funzionante e razionalmente fondato che avrebbe potuto regolare in modo vincolante la nostra convivenza e il tempo da trascorrere davanti allo schermo: al contrario, abbiamo continuato a ridiscutere ogni santo giorno l’educazione mediatica, con tutti i classici battibecchi comuni a qualsiasi altra famiglia.
 
Da questa scenetta familiare possiamo derivare analogie da applicare alla società: in ogni fase della burocratizzazione, in ogni passaggio normativo che viene inserito in un processo, in ogni sottoparagrafo che qualcuno ritiene doveroso formulare, in ogni ennesima regola speciale che qualcuno aggiunge a una regola di base, c’è sempre qualcuno che, almeno per un momento, trova il tutto assolutamente sensato.
 
A volte leggo una lettera, per esempio dell’ufficio delle imposte, che richiama una norma speciale relativa a un’eccezione all’applicazione di una postilla di legge, e dopo un primo momento di rabbia spontanea per la follia dell’eccessiva regolamentazione di questo Stato, in un impeto di improvvisa lucidità, capisco come si è arrivati a questa proliferazione.

Ma la colpa è nostra

Ho capito che la colpa non è del sistema, ma è nostra: se la burocrazia improvvisamente non ci fosse più, saremmo noi stessi, quindi anche io, anche la mia famiglia, a reinventarla. È già qualche anno che ho capito che la persona che dall’ufficio delle imposte mi ha mandato quella lettera non andava colpevolizzata come artefice di un sistema infausto, ma vista invece come un fratello o una sorella, uno di noi, insomma. Lo so perfettamente. Eppure non sono mai riuscito a vederla in questo modo e so che lo dimenticherò subito dopo aver scritto l’ultima riga, questo è certo. Perché anche questa è una regola semplice e ovvia.

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