Profughi nelle scuole tedesche
Idee per l’integrazione

Aladin El-Mafaalani, esperto nel settore delle migrazioni
Aladin El-Mafaalani, esperto nel settore delle migrazioni | Foto (particolare): © Raimond Spekking / CC BY-SA 4.0 (via Wikimedia Commons)

In Germania alcune scuole hanno ancora difficoltà a integrare i profughi. In quest’intervista Aladin El-Mafaalani, esperto nel settore delle migrazioni, spiega il perché e cosa si può migliorare.

Aladin El-Mafaalani, come valuta attualmente il sistema scolastico tedesco riguardo all’integrazione degli immigrati?

Relativamente agli immigrati con un contesto giuridicamente buono, il mio giudizio del sistema scolastico è piuttosto positivo.
 
E l’integrazione dei profughi?


Bisogna fare delle distinzioni: in relazione ai gruppi con buone prospettive di permanenza darei una valutazione analoga, abbastanza positiva, mentre per quelli provenienti da Paesi cosiddetti sicuri, secondo me si arriva appena a una sufficienza, anche un po’ scarsa.
 
Perché così poco?
 

Spesso con questi bambini e ragazzi non si verifica se vadano veramente a scuola. Inoltre quando sanno che dovranno lasciare la Germania il loro interesse scolastico può calare. A livello di criminalità vale lo stesso discorso: chi ha poche prospettive compie più reati rispetto alla media, perché sa di non avere molto da perdere. I profughi con buone prospettive di permanenza, invece, fanno registrare un tasso di criminalità inferiore alla media.
 
E qual è la situazione dell’integrazione dei minorenni con buone prospettive di permanenza?
 

Per loro, nel frattempo, si sono sviluppati diversi progetti e idee in Germania. Quando dei giovani profughi vengono affidati a un comune, per quelli dai 6 anni d’età scatta subito l’obbligo scolastico. È necessario che l’alunno frequenti una classe di sostegno o è possibile inserirlo in una classe normale? Ha bisogno di assistenza psicologica? Quali sono le sue competenze linguistiche? Sono solo alcune delle domande che si pongono, ma fino a pochi anni fa non era così e il risultato del cambiamento è evidente: molti giovani profughi che si trovano qui da soli due anni  parlano in tedesco già molto meglio di alcuni immigrati che invece sono qui da decenni.
 
Scuole e personale docente hanno una preparazione adeguata?
 

Dipende anche dal posto in cui si trova la scuola. Non c’è un regolamento quadro a cui fare riferimento e le scuole situate in zone a più alta concentrazione urbana o nelle grandi città hanno solitamente più dimestichezza con alunne e alunni non tedeschi, anche se non sempre è così. In campagna, invece, spesso si tende a sperimentare senza seguire delle linee chiare e una parte degli insegnanti ha poca esperienza con bambini che non parlano tedesco. Per questo la politica dovrebbe sostenere particolarmente i comuni con una casistica inferiore. In campagna scarseggiano le strutture e spesso mancano consulenti, corsi per adulti e associazioni.
 
Secondo Lei, dunque, sarebbe opportuno mandare i profughi solo nelle grandi città e nelle zone a più alta concentrazione urbana?
 

Mah, in alcune grandi città la situazione è meno positiva e al contrario è migliore in alcuni comuni di campagna. Dipende veramente dal bagaglio di esperienza accumulato con l’immigrazione. Ecco perché sarebbe bene creare delle cooperative intercomunali che poi potrebbero sostenersi a vicenda e approfittare di uno scambio.
 
Come vengono preparati gli insegnanti e il personale della scuola?
 

Ormai sono molti i corsi di aggiornamento per insegnanti proposti dai sindacati del settore pedagogico. Spesso mancano i formatori e naturalmente ci vuole tempo, perché la Germania ha avviato in maniera scoordinata l’integrazione dei profughi nel sistema scolastico. Però bisogna riflettere su un fatto: quando ad esempio negli anni Ottanta in Germania è arrivata un’ondata di libanesi, per loro non vigeva l’obbligo scolastico ed era raro che venisse offerto un sostegno all’apprendimento linguistico. In passato i bambini che non parlavano tedesco venivano mandati direttamente in una classe differenziale (*) e quindi l’integrazione non era buona. Che oggi sia diverso porta indubbiamente dei risultati. Gli insegnanti riferiscono che i figli dei profughi sono altamente motivati. Quando si dice che il personale docente è sottoposto a carichi eccessivi, non ci si riferisce in particolare a questi alunni, ma piuttosto alle tante novità derivanti dalle continue riforme dei programmi didattici ed educativi e anche all’inclusione di bambini diversamente abili.
 
In alcuni Paesi d’origine la precarietà della situazione è talmente di lunga durata che molti profughi arrivano con una formazione scolastica molto carente o comunque limitata. Il sistema scolastico tedesco ha la flessibilità sufficiente per accogliere anche persone con questo tipo di background?
 

Al momento non c’è una pianificazione mirata in questo senso, ma nelle scuole a tempo pieno, che nel frattempo si sono diffuse capillarmente in tutti i Länder federali, assistenti sociali, psicologi scolastici e pedagoghi esperti in bisogni educativi speciali offrono un sostegno più completo rispetto al passato. Mi ha molto colpito la storia di un tredicenne che per anni non aveva frequentato la scuola e che in realtà, in base al bagaglio scolastico, avrebbe dovuto frequentare una seconda o una terza elementare. Invece è stato inserito in una seconda media, continua a imparare il tedesco e, come alleggerimento, ha beneficiato del riconoscimento dell’arabo, la sua madrelingua, come seconda lingua straniera. I pedagoghi oggi cercano di considerare ogni bambino come caso a sé stante e riflettono molto prima di decretare la necessità di inserimento in una classe differenziale (*). I figli di profughi devono andare prima possibile a scuola e frequentare al più presto una classe normale.
 
L’integrazione non è anche connessa all’instaurarsi di legami tra i genitori dei giovani profughi e i genitori tedeschi, e anche alle interazioni tra tutti gli alunni?
 

Naturalmente conta anche il contesto extrascolastico: ormai quasi tutti i profughi entrano in contatto con dei volontari e questo legame è stretto e proficuo, per cui, a mio avviso, le interazioni tra genitori non sono poi così rilevanti.
 
Un caso a parte è quello dei bambini impauriti e traumatizzati. Qual è l’approccio con loro?
 

Quando un giovane profugo è traumatizzato, in generale lo si capisce già dal primo giorno di scuola. Le scuole dispongono di uno psicologo scolastico, ma è rara che si renda necessaria una terapia; per lo più bastano la quotidianità, un programma giornaliero strutturato, i contatti interpersonali e la possibilità di ottenere riconoscimento. Spesso gli insegnanti attribuiscono a un trauma qualsiasi problema comportamentale di un bambino, forse perché oberati di lavoro, ma il presunto trauma può essere un pregiudizio. Il peso più grande e difficile da sopportare, per molti profughi, è la lunga attesa per una normalizzazione della propria vita.
 
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(*) N.d.T.: Premesso che il sistema scolastico in Germania non è di competenza federale, ma esclusivamente dei Länder e quindi non identico in ogni regione, la “Sonderschule” o “Förderschule” è una tipologia di scuola con classi differenziali, disponibile dalla prima elementare fino alla decima (che potrebbe corrispondere al primo anno delle superiori). È destinata ai bambini con bisogni speciali e difficoltà di apprendimento per disabilità di diverso genere, sia fisiche, sia mentali, e a diversi livelli di gravità.

Il Prof. Dr. Aladin El-Mafaalani è docente e ricercatore all’Università di Münster nei settori legati a immigrazione, integrazione, istruzione e giovani. È membro, tra l’altro, del Consiglio per l’immigrazione, un Comitato federale che conta oltre 130 studiosi e il cui scopo principale è affiancare in forma critica le istanze politiche nelle questioni migratorie e dell’integrazione.