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Il contesto belga
In assenza di terreno sicuro

Fotografia di Roger Fenton: The Rubel Collection, Purchase, Anonymous Gift
Fotografia di Roger Fenton: The Rubel Collection, Purchase, Anonymous Gift | © Curator's Discretionary Grant from The Judith Rothschild Foundation, and Thomas Walther Gift, 1997

Caroline Godart ha studiato filosofia, teoria queer e femminista, cinema e letteratura a New York. Dal suo rientro in Belgio lavora come drammaturga, editrice, autrice e critica teatrale a Bruxelles. In vista della première brussellese di “Conferenza degli assenti” si è confrontata con il tema dell’assenza nel contesto belga.

Di Caroline Godart

Cosa significa appartenere a una nazione che non esiste affatto? O a un Paese che esiste in modo così effimero e vago che si potrebbe affermare che anche il più piccolo cambiamento della Storia potrebbe farlo scomparire? Il Belgio nasce infatti da un’arbitraria scelta strategica; non dalla propria volontà, bensì solo come barriera che in caso di necessità poteva mettere un freno alle mire espansionistiche di Napoleone. Ci troviamo subito dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo. I sovrani europei, tradizionalmente imparentati tra loro, si trasformano in mercanti e con grande fretta posizionano tutt‘intorno alla Francia popoli confezionati in piccoli pacchetti. Una nascita mitologica quella del Belgio! Che quasi ricorda quella di Atena da un’emicrania di Giove.

Il fatto che non parliamo una lingua comune, che non abbiamo una storia comune che si è evoluta con solidità nel corso degli anni fa del Belgio un Paese senza un‘identità propria, senza un ego facilmente riconoscibile, che si potrebbe brandire davanti a sé come uno stendardo e che potrebbe urlare al mondo il suo amore ripugnante verso se stesso e il suo popolo. Nulla di tutto ciò, in ogni caso non un Paese: il Belgio è di per sé assente. Le più o meno forti costruzioni identitarie delle grandi comunità (fiammingo-brussellese/ francofona/ vallone), che lo caratterizzano, non fanno che rafforzare l’incidenza della volatilità del Paese stesso che, senza volerlo, compongono. L’assenza è quindi l’elemento costitutivo di questo Paese, ma ciò non significa che gli è stato sottratto qualcosa, bensì semplicemente che il Belgio non ha mai avuto quella narrazione leggendaria, antica, faticosa che accompagna ad esempio la Francia, la Gran Bretagna o la Russia. Il Belgio non “c’è sempre stato”, non ha un “destino”, non ha nessuna determinazione particolare se non quella di continuare ad esistere così com’è finché funziona, prima di essere raggiunto dalle aspirazioni d’indipendenza dell’una o dell’altra comunità.

TERRENO FERTILE

E proprio l’assenza di una narrazione grande e leggendaria è per me e per alcuni altri, che preferiscono l’instabilità di una comunità che non sa come definirsi alla prigionia del terreno sicuro e dell’identità, ciò che paradossalmente rende questo Paese un luogo di crescita individuale. In un Paese non troppo solido, costantemente a rischio di estinzione, c’è posto per persone che possono godere dei frutti del caso e del cambiamento.

Quest’assenza con se stessi è anche tuttavia nel migliore dei casi fonte di frustrazioni, nel peggiore fonte di terribili ingiustizie. I governi hanno bisogno di mesi, se non di anni per formarsi; si conosce così male la lingua dell’altro che alla fine si comunica in inglese; si pensa di essere inferiori rispetto ai grandi e potenti Paesi confinanti a cui a volte ci si avvicina solo con riserve. La perdita di memoria è una malattia ampiamente diffusa da noi e viene aggravata dal complesso carattere della non-Nazione. Prendiamo il caso terribile ed emblematico della colonizzazione del Congo: insegnato poco o male nelle scuole francofone e fiamminghe; i francofoni e i fiamminghi si sostengono gli uni gli altri e l’assenza di una coscienza nazionale facilita un approccio superficiale alla questione della repressione coloniale, senza presa di responsabilità o risarcimenti.

La proposta dei Rimini Protokoll di lasciar parlare l’assenza colpisce dritto al cuore dell’identità bega, essa stessa assente e composta da una comunità che non sa mai davvero come presentarsi a se stessa e che tuttavia offre terreno fertile per la competizione e purtroppo anche per la mediocrità.

CAROLINE GODART

Caroline Godart Foto privata Caroline Godart è scrittrice e vive a Bruxelles. Nel 2014 ha conseguito il dottorato in Letterature comparate negli Stati Uniti presso la Rutgers University e nel 2015 tra le varie opere ha pubblicato The Dimensions of Difference: Space, Time and Bodies in Women’s Cinema and Continental Philosophy (Rowman and Littlefield, Londra). È co-editrice della rivista Alternatives Théâtrales ed è stata drammaturga al Teatro La Bellone a Bruxelles. Insegna letteratura e filosofia all‘Ecole de Recherches Graphiques (ERG).

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