L’uscita dal carbone
Transizione energetica e trasformazioni
Come si realizzerà in futuro l’approvvigionamento energetico? La Germania vuole rinunciare del tutto all’estrazione del carbone entro il 2038. Un obiettivo ambizioso che richiede il superamento di numerosi ostacoli.
Di Petra Schönhöfer
Per secoli l’industria mineraria e la produzione di carbone sono state tanto indissolubilmente legate alla Germania quanto l’industria automobilistica oggi: la Repubblica Federale Tedesca è il maggior estrattore di lignite al mondo, con una tradizione mineraria che risale al XVII secolo. Economico da estrarre e con riserve praticamente incommensurabili, questo combustibile è parso a lungo una garanzia affidabile per la fornitura di energia elettrica. Oggi sappiamo invece che le riserve non sono affatto infinite e che l’attività mineraria causa enormi danni ambientali, non solo deturpando il paesaggio, ma soprattutto rilasciando ingenti emissioni di CO2.
In Germania ci sono ancora tre regioni che producono attivamente lignite. | Foto: © dpa-infografik Da quando poi, con l’incidente di Fukushima, il nucleare è finito tra le fonti di produzione di energia che è opportuno soppiantare, si è capito che sarà inevitabile un’inversione di rotta, tanto più che la Germania ha assunto l’impegno di raggiungere gli obiettivi concordati alla Conferenza mondiale sul clima di Parigi nel 2015. Nel “Piano di tutela del clima 2050” adottato dal governo tedesco nel 2016, che prevede tra l’altro una riduzione delle emissioni di gas serra di almeno il 55% rispetto al 1990, un ruolo centrale è svolto dalla graduale eliminazione del carbone. Gli obiettivi, quindi, sono stati fissati, ma bisogna ancora avviarsi sulla strada per raggiungerli.
Uscita dal carbone entro il 2038
A livello politico sono state già prese importanti decisioni: per raggiungere i suoi obiettivi energetici, nel 2018 il governo tedesco ha fondato la Commissione “Crescita, cambiamento strutturale e occupazione”, anche abbreviata in “Commissione carbone”, che ha coinvolto esponenti politici, dell’economia, delle associazioni ambientaliste, dei sindacati, dei Länder e delle regioni interessate, che hanno elaborato un piano per definire la graduale uscita dal carbone e il relativo cambiamento strutturale in Germania. Secondo questo piano, il Paese deve azzerare la produzione di energia elettrica a partire carbone al più tardi entro il 2038; già nel 2022 dovrà fare a meno di 12,5 GW provenienti dalle centrali a carbone e a lignite, vale a dire circa il 28% dell’attuale produzione di energia elettrica da carbone, e in questo modo entro il 2030 verranno dimezzate le emissioni annue di CO2 attribuibili al settore di produzione di energia elettrica.Nel settembre 2019 il governo tedesco ha lanciato un corposo pacchetto di misure per attuare gli obiettivi della Commissione che ambisce addirittura a neutralizzare l’effetto serra entro il 2050. I costi dei biglietti ferroviari verranno ridotti, mentre saliranno quelli aerei e scompariranno i sistemi di riscaldamento a gasolio. Il singolo elemento più importante del programma 2030 di tutela ambientale, però, è la graduale eliminazione della produzione di energia elettrica da carbone, mentre il secondo per importanza è l’aumento al 65% delle rinnovabili entro il 2030.
Decine di migliaia di persone provenienti da tutta la Germania hanno partecipato alle passeggiate di protesta per la tutela della Foresta di Hambach. | Foto: © picture alliance/chromorange
Contano di più gli alberi o i posti di lavoro?
Gli obiettivi sono chiari, eppure la realizzazione di una svolta energetica è tutt’altro che semplice: mentre gli oppositori della lignite premono per un’azione in tempi rapidi, altre parti sociali oppongono notevoli resistenze. Nel 2018, ad esempio, sono sorte forti tensioni per la Foresta di Hambach, un’area boschiva adiacente alla miniera di lignite di Etzweiler, in Renania Settentrionale-Vestfalia, condannata ad essere spazzata via dalle ruspe in favore della miniera di estrazione a cielo aperto. Centinaia di ambientalisti e attivisti hanno occupato l’area per settimane per difenderla dalla distruzione, ottenendo il sostegno di decine di migliaia di manifestanti intervenuti da tutta la Germania. Allo stesso tempo, i sindacati e i lavoratori dell’industria della lignite lottano per il mantenimento del posto di lavoro. Anche in altre regioni la svolta energetica si sta scontrando con forti resistenze, ad esempio nelle regioni destinate alla costruzione di nuovi parchi eolici: i residenti presentano ricorsi contro l’inquinamento acustico e a tutela della natura o dei monumenti, per evitare l’installazione delle gigantesche pale nelle loro vicinanze. La burocrazia, così, si blocca e il potenziamento della produzione di energia eolica, sebbene urgente e necessario, attraversa una fase di stallo.L’uscita dal carbone come modello
Nelle discussioni più accese, a volte, si perde di vista quanto si è già raggiunto: se si guarda al mix complessivo dell’energia elettrica prodotta in Germania nel 2019, non si può non notare che il carbone ha ceduto da tempo la sua supremazia a fotovoltaico ed energia eolica che, messe insieme, nella prima metà del 2019 hanno costituito le maggiori fonti energetiche, producendo più elettricità del carbone, stando ai dati di uno studio del Fraunhofer Institute for Solar Energy Systems ISE. Insieme all’acqua e alle biomasse, le fonti di energia rinnovabile rappresentano quasi la metà della produzione pubblica netta di elettricità. Inoltre, con l’uscita dal carbone si è già conclusa una parte della svolta energetica: con la chiusura nel dicembre 2018 di Bottrop, l’ultima miniera di carbone in Germania, quello che un tempo era il più grande distretto carbonifero tedesco è uscito dalla rete produttiva. Nel suo periodo di massima operatività, aveva dato lavoro a oltre mezzo milione di persone, per una produzione annua di oltre 110 milioni di tonnellate di carbone fossile. In seguito, la produzione di carbone aveva perso competitività internazionale, tanto che recentemente i sussidi per il settore carbonifero a compensazione della differenza di prezzo rispetto al mercato mondiale ammontavano a oltre un miliardo di euro l’anno. Per questo, nel 2007 il Bundestag ha approvato un calendario di uscita graduale dal carbone fossile, ormai in perdita, e nello stesso anno è stata istituita la Fondazione RAG, che si è occupata prima della riduzione, fino all’eliminazione regolamentata dei sussidi, e poi dei danni permanenti sul territorio generati nel tempo dall’estrazione. L’abbandono dello sfruttamento del carbone fossile è considerato un modello in quanto è stato gestito in maniera socialmente adeguata e correttamente finanziata, tenendo anche conto dei danni ambientali.
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