Simone Pappalardo

Orchestra fragile, l’opera di Simone Pappalardo realizzata nell’ambito di una residenza d’artista a Berlino, verrà esposta per la prima volta al Media Art Festival nell’ambito della mostra The power to change the world e sarà presentata il 27 aprile alle ore 16 al Museo MAXXI nella sezione “Residenze d’artista”.

Simone Pappalardo Foto: © Privat Simone Pappalardo si è diplomato con lode in Musica Elettronica presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma. Da anni crea composizioni elettroniche, installazioni sonore interattive e strumenti musicali “aumentati”.

Sue opere sono state eseguite ed allestite in molti festival internazionali: Huddersfield Contemporary Music Festival, Conservatorio di Pechino per il Festival Musicacoustica, Sound and Music Conference 2016 ad Amburgo, Irish Sound, Science and Technologies Association Festival a Derry 2016, Ars Eelctronica a Linz 2016, Accademia di Romania, Accademia Americana durante varie edizioni del Festival di Nuova Consonanza, Museo Macro di Roma, Teatro del Globo di Buenos Aires, Artefiera a Bologna, Festival Cinque Giornate di Milano, Emufest, Museo Collezione Manzù di Ardea, Auditorium Parco della Musica di Roma, Biennale dei Giovani Artisti del Mediterraneo ad Atene, in diverse occasioni presso il museo MAXXI di Roma, per il Festival Digital Life della fondazione Romaeuropa, Media Art Festival, ecc.

Con la composizione hyde – per pianoforte sollecitato da impulsi elettromagnetici ha vinto una menzione speciale al Premio Nazionale delle Arti. Con l’installazione Murmur. LC librans ha vinto il premio Media Art Festival presso il Museo MAXXI di Roma.
 
È stato artist in residence presso il Goethe-Institut di Berlino. Attualmente è docente di Musica Elettronica presso il Conservatorio di Musica di Alessandria e presso il Conservatorio di Latina.

orchestra fragile

È un’installazione/strumento che è stata creata per il Media Art Festival 2017 a seguito di una residenza d’artista presso il Goethe-Institut di Berlino. L’opera è dedicata alla città di Berlino e alla sua storia: “orchestra” come insieme organizzato o organizzabile, massa, coro di voci indistinguibili in un solo organismo, pluralità coordinata; “fragile” come materia in trasformazione, processo in corso che non giunge mai ai suoi confini; quando la fragilità porta alla rottura – limite massimo della fragilità – i suoi confini si spostano oltre la rottura stessa. La rottura è un “momentaneo”, uno stato non definitivo; la fragilità è invece un processo in divenire, autosimile, che ricopia se stesso in forme sempre più larghe, in orchestre organizzate composte di atomi fragili. La malattia è ad esempio un momento di rottura, un punto di arrivo della fragilità, ma le fragilità umane portate alla luce dalla malattia sono solo provvisorie, sposteranno presto i propri confini, lasciando posto a nuovi confini raggiungibili: la guarigione o la morte, la speranza o la rassegnazione, dunque nuove fragilità. La fragilità è la voce dell’esistenza del corpo, assioma dell’orchestra delle nostre sensazioni che delimitano dinamicamente i confini del nostro essere e del nostro essere materia in divenire: tristezza , timidezza, speranza, nostalgia, rassegnazione, ecc.. Fragilità è il limite della trasparenza, ciò che differenzia la trasparenza dal nulla, è l’essere materia della trasparenza. È l’essere di ciò che è neutro. La fragilità è una istanza rivoluzionaria, energia di cambiamento, tensione costante o crescente, con una promessa di frattura sociale, o l’attesa del dirupo. Un’orchestra di fragilità può far nascere muri, la fragilità può auto rigenerarsi, accrescersi, intensificarsi. Un verme si fa spazio scegliendo i sentieri più fragili nel terreno, un elettrone cerca la via con meno resistenza, un albero organizza la sua crescita in base a fragilità momentanee, adattando le sue forme al fil di ferro che lo stringe, o al caso, al clima, al vento, alle forze. La fragilità è ciò che resta della costrizione, la differenza fra la costrizione del fil di ferro e il vuoto dell’aria. è una possibile regola del caos. La fragilità ha diversi stadi, si declina nell’immediato o nel lungo periodo, si concentra in un piccolo insieme o in grandi orchestre. La fragilità definisce gli esodi e i grandi cambiamenti. Oggi si torna – forse non si è mai smesso – a parlare di muri, per delineare confini, per dividere fragilità e paure. Comunque lo si veda un muro è figlio di fragilità, qualcosa che cerca erroneamente di rafforzare e finisce per nascondere malamente. La fragilità è materia (materia fisica, come un muro, materia sociale,come l’energia di una rivoluzione, materia interiore) in vibrazione, in potenza di trasformazione.

Intervista

Com’è arrivato alle arti mediali? Che cosa La entusiasma di questo genere?
Sono arrivato alle arti mediali passando dal teatro di ricerca e dalla musica elettronica. Anni fa ho avuto l’occasione di lavorare in un piccolo teatro romano – Teatro Furio Camillo – che per alcuni anni è stato un luogo di riferimento per giovani artisti – danzatori, registi, attori, musicisti, ecc. – che  hanno trovato qui lo spazio e le occasioni di sperimentare in libertà. In questo contesto componevo musiche per molte performance e mi capitava a volte di costruire oggetti scenici, meccanismi sonori di vario tipo. Decisi di approfondire questi aspetti frequentando il corso di Musica Elettronica al Conservatorio di Musica Santa Cecilia di Roma, sotto la guida del compositore Giorgio Nottoli. Qui ho trovato un contesto di riferimento e una formazione avanzata che mi ha dato modo di restare nell’ambito della didattica e della ricerca sul suono e sull’arte di ricerca. 
La cosa per me più interessante nelle arti mediali è di poter allargare il concetto di composizione ad oggetti, spazi, ambienti, gesti. La tecnologia, soprattutto se declinata in modo autonomo e originale, permette di mostrare in vari modi le connessioni fra spazi, tempi e materie. 
 
Che cosa La affascinava della residenza e di Berlino?
Prima della residenza ero stato a Berlino solo per pochi giorni, grazie a questa residenza ho avuto l’occasione di immergermi nella città seguendo traiettorie abbastanza inusuali, non da turista. Seguendo il filo rosso dell’opera che volevo realizzare ho preso contatto con artisti locali, ma ho avuto anche modo di misurarmi con operai e artigiani, venditori di vari livelli, insomma un’immersione abbastanza realistica nel tessuto cittadino. 
 
Di Berlino cosa Le è piaciuto e cosa no?
Difficile fare un bilancio di un’esperienza e di una città così particolare. Sicuramente i forti contrasti: sociali, economici, culturali, storici, sono una caratteristica di Berlino, è tuttavia una città  dove tutte queste “diversità” trovano un loro equilibrio e forse è proprio questo strano equilibrio eccentrico la cosa più affascinante di Berlino: A volte ti senti a casa e ti muovi con sicurezza in ambienti che in qualche modo già conosci, altre volte ti senti improvvisamente lontanissimo da ciò che ti circonda e ti guardi intorno curioso.
 
Quali temi ispirano le Sue opere?
È una domanda non semplice. Credo, e spero, che le mie opere abbiano diversi punti focali e quindi diverse letture possibili, spero anche che ogni opera racconti se stessa e le sue “urgenze” in modo autonomo, meglio di un mio pensiero generale. Tentando tuttavia di citare alcuni temi  per me importanti: reinventare e declinare la tecnologia – e il suono in genere – come forma di resistenza all’uso non-creativo, commerciale e “rassicurante” che generalmente  fa il mercato sia della tecnologia che della musica; ampliare il concetto di composizione musicale da arte nel tempo ad arte complessa (come in parte detto sopra) che serva a connettere spazi oggetti, ecc.; esplorare la memoria, intesa sia come memoria storica sia come memoria personale. Il suono è sempre frutto di un azione, senza alcun movimento non vi è suono. In questo senso  il suono ha un rapporto con il gesto  simile a quello che un ombra ha con il corpo fisico che la crea. Dunque il suono è sempre la memoria di un’ azione. Partendo da questo concetto penso che non ci sia niente di più indicato del suono per esplorare la nostra memoria. Il discorso sarebbe molto complesso e anche in parte fuori dalle mie competenze, quel che tuttavia mi sembra interessante è mostrare le forti connessioni fra suono/spazio/memoria. 
C’è spesso nelle mie opere l’uso di materiali “di scarto”, e anche questo è un tema a me caro. Le installazioni multimediali sono tutt’altro che immateriali, credo che ad oggi sia d’obbligo – e ancor di più per un artista che crea installazioni – domandarsi da dove viene, da quali processi sociali culturali, e dove va a finire tutta questa materia che viene prodotta. 
 
Con quale artista Le piacerebbe collaborare?
Molti artisti con cui mi piacerebbe collaborare non ci sono più. 
 
Che cosa Le sarebbe sempre piaciuto sperimentare, anche a livello artistico, ma finora non ha avuto il coraggio di provare?
Ho molte idee a cui rinuncio e di solito ogni opera che creo è frutto di molti e ripetuti processi di semplificazione di un’idea iniziale. Mi piacerebbe ad esempio misurarmi su opere di grandi dimensioni o con la moltiplicazione ossessiva di uno stesso elemento fino a ripetere a raggiungere numeri molto elevati. I limiti di budget e di tempo impongono spesso un ridimensionamento delle idee. Questo tuttavia credo sia anche un elemento di una certa utilità. Imporsi limiti forti aiuta a fare pulizia, ad andare in profondità sui concetti. 
 
Con chi Le piacerebbe fare un cambio per un giorno? Ad esempio con un artista o con un’altra personalità?
Un giorno credo sia un tempo troppo ristretto per potersi calare nella vita di chiunque. Con i ritmi che abbiamo se facessi a cambio di vita per un giorno con qualunque persona verrei investito da una quantità tale di informazioni da non poterle usare in alcun modo. Avendo più tempo a disposizione mi piacerebbe provare cosa vuol dire essere persone coraggiose, che lottano per un ideale. Dunque, avendo più di un giorno a disposizione, penserei a qualche rivoluzionario del passato.
 
Immagini di partire per un'isola sperduta: che cosa porterebbe sicuramente con sé?
Credo niente, mi piace mettermi alla prova misurando la mia capacità di adattamento  con ciò che trovo e con ciò che l’ambiente mi mette a disposizione.