Cinico Profeta in Patria

Un gruppo di uomini in posa strana Foto: © Stefano Fogato

Martedì 21 giugno 2022, ore 21

Palermo, Cinema Rouge et Noir

Franco Maresco racconta Cinico TV e l'estate del 1992

Il regista presenta anche alcuni episodi memorabili della serie Cinico TV (1992-1996) da lui ideata e diretta in duo con Daniele Ciprì

Partecipa Carlo Chatrian, direttore artistico del Festival internazionale del cinema di Berlino

Introduce Heidi Sciacchitano, direttrice del Goethe-Institut Palermo

Il 7 aprile 1992 va in onda su Rai 3 la prima puntata di Cinico TV, esperimento emerso rovistando tra le macerie umane e sociali di un periodo storico tragico per la Sicilia e per la sua “capitale della mafia”, Palermo. Una città stravolta dalla seconda guerra di mafia e che, da lì a pochi mesi, sarebbe arrivata al punto di non ritorno con le stragi di Capaci e di via D’Amelio. Palermo era prostrata, fatalista, connivente, abitata da donne e uomini “soli” che si battevano per ridestare i suoi abitanti dal torpore rassegnato e dal silenzio omertoso. Letizia Battaglia è tra i simboli della resistenza e di una forma quasi paradossale di ottimismo, un’artista che all’amarezza ha sempre risposto con la tenacia, fino all’ultimo atto del film più recente di Maresco, La mafia non è più quella di una volta.

Cinico TV era una striscia grottesca capace di dare, come diceva Carmelo Bene, «un calcio in culo al linguaggio e alla comunicazione»; una scheggia impazzita, orgogliosamente autoprodotta, che andava in onda ogni sera provocando i sudori freddi al direttore della rete Angelo Guglielmi. Era anche cinema rigoroso – in cui risuonavano echi, filtrati da un’autorialità forte e inconfondibilmente identica a se stessa, del Beckett della Trilogia, del K. kafkiano, del Bardamu celiniano che viaggia “al termine della notte”, del Ferreri più gargantuesco, del Buñuel messicano, ma anche della grande tradizione della slapstick comedy hollywoodiana e, perché no, di Pirandello e Pasolini, nonché dei musicarelli anni ’60, in un intreccio vertiginoso capace di far collidere musica neomelodica e somma arte, tanto carnale quanto forbita, quella, per capirci, dell’Ascension di Coltrane, e tale da generare un change of the century degno di Ornette Coleman – e improvvisazione scapestrata: la macchina da presa fissa, il bianco e nero dagli echi fordiani che concentra tutta l’attenzione sulla tragicommedia grottesca dei personaggi, i quali non possono trovare rifugio nel paesaggio; una registrazione in presa diretta di ciò che succedeva in città, senza l’ansia contemporanea di dover raccontare delle “storie”. Eppure l’espunzione della bellezza non produceva una sadica negazione di salvezza, ma garantiva quantomeno un’estinzione calorosa, empatica. Questi «strani frammenti», scrive Nicola Lagioia, creavano l’impressione di trovarsi di fronte a una monumentalità preistorica e «mostravano una Sicilia da Wasteland se T.S. Eliot si fosse fatto le ossa nello Zen di Palermo, periferie urbane desolate e degradate, ricolme di macerie e scarti industriali eppure anche toccate da una grazia ruvida e irriducibile: uno scenario da dopobomba e preistorico al tempo stesso, dove mura diroccate, strade dissestate, pratoni fotografati con l’orrendo skyline dei palazzi popolari riuscivano a saldare la fine della Storia con l’intestimoniabile atmosfera che si sarebbe potuta respirare a Uruk, il primo insediamento umano di cui si abbia notizia». A popolare questo deserto post-apocalittico ci sono delle figure umane che vanno a infoltire quella che, ancora Lagioia, definisce una «schiera indimenticabile di obesi in mutande, balbuzienti, schizofrenici, alienati mentali, tutti affetti da disturbi che andavano dal meteorismo alla satiriasi depressiva, tutti rigorosamente maschi», oppressi da una solitudine inconsolabile «stremata e folle e insondabilmente allegra». Personaggi che non sono dei mostri da deridere e da giudicare, ma dei freaks che si “mostrano” nella loro corporeità, a tratti scatologica e perversa, a tratti fragile e compassionevole, ma in ogni caso assolutamente umana, troppo umana.

FRANCO MARESCO

Franco Maresco Foto: © Paolo Caravello Nato a Palermo nel 1958, giovanissimo comincia a lavorare come vignettista satirico e autore di trasmissioni radiofoniche. Nel 1986 incontra Daniele Ciprì e, dopo le prime sperimentazioni video apparse sull’emittente palermitana TVM, nel 1989 creano Cinico TV, uno dei programmi più rivoluzionari e dissacranti nella storia della televisione italiana. Negli anni ’90 la coppia realizza due lungometraggi che, per la loro carica innovativa e la feroce visione del mondo, restano ancora oggi un’esperienza unica nel panorama del cinema contemporaneo italiano: Lo zio di Brooklyn (1995) e Totò che visse due volte (1998). Seguono l’esilarante Il ritorno di Cagliostro (2003) e il documentario Come inguaiammo il cinema italiano, la vera storia di Franco e Ciccio (2005), entrambi presentati alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Contemporaneamente i due cineasti si cimentano con pratiche teatrali e in installazioni video. Dopo l’ultima esperienza televisiva al fianco di Ciprì, con cui realizza tra il 2006 e il 2007 altri due programmi andati in onda su La7, Maresco esordisce in solitaria con Io sono Tony Scott. Ovvero, come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz. Seguono due spettacoli per il Teatro Stabile Biondo di Palermo, tratti da Franco Scaldati, Lucio (2014) e Tre di Coppie (2016). Per il cinema invece nel 2014 esce Belluscone. Una storia siciliana. Vincitore del Premio speciale per la Giuria Orizzonti alla Mostra del Cinema di Venezia e, nel 2015, vincitore del David di Donatello come miglior documentario. L'ultimo suo lavoro è Gli uomini di questa città io non li conosco, vita e teatro di Franco Scaldati, sempre presentato nel 2015 alla Mostra del Cinema di Venezia. Nel 2017 firma un sentito ritratto della fotografa e amica Letizia Battaglia dal titolo La mia Battaglia e nel 2019 vince il premio speciale della giuria alla 76esima Mostra del cinema di Venezia con il film La mafia non è più quella di una volta. È prevista l'uscita del suo ultimo film documentario dedicato al grande sassofonista jazz, il siculo-americano Joe Lovano. In lavorazione un documentario sull'amico Goffredo Fofi (e il suo rapporto con la Sicilia) e un film che renderà omaggio al grande drammaturgo Carmelo Bene.

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