“Fuoco” di Shida Bazyar
Come rimediare al fallimento sul razzismo

Cosa è vero e cosa non lo è nel romanzo di Shida Bazyar “Fuoco” (Fandango Libri, 2022)? Quello che è vero ce lo dice esplicitamente sin dall’inizio attraverso la scrittura aggressiva della sua alter ego, la narratrice Kasih, che prende di petto il lettore già dalla prima pagina. Quello che invece non è vero ce lo dirà solo alla fine.
Di Giovanni Giusti
Un palazzo è andato a fuoco in una zona popolare. Sono morte delle persone. Immigrati, come lei. E Saya, la sua amica del cuore, è stata arrestata per questo. È un flusso di coscienza inarrestabile quello di Kasih, che in una notte di scrittura compulsiva innescata da questa tragedia racconta la sua vita e quella delle sue amiche Saya e Hani. O meglio, racconta quello che lei ritiene utile che il lettore debba sapere. Scopriremo il suo nome solo dopo un’ottantina di pagine, menzionato quasi per caso, non sapremo mai da quale parte di un generico “Medio oriente” la sua famiglia è fuggita, né qual è la città della Germania dove vive.
Amiche da sempre e per sempre

Kasih, nonostante tutte le reticenze, ci racconta la sua vita, con l’incendio e l’arresto che diventano il pretesto per giustificare il suo sfogo notturno, in una serie di parentesi che apre e chiude di continuo, flashback apparentemente disordinati che escono fuori dal nulla, da una parola sentita, da un volto, senza un ordine cronologico preciso, ma che riescono sempre a tenerci dentro la storia. La sua, intanto, che si definisce “ragazza” secondo la cultura tedesca, ma che nel suo Paese d’origine avrebbe già dei figli adolescenti, arrabbiata, frustrata perché nonostante una laurea in sociologia a pieni voti non riesce a trovare lavoro, e delusa dagli uomini, soprattutto dall’ex fidanzato Lukas. Quella di Saya, forse la leader del gruppo, “quella intelligente, quella che intuisce sempre tutto, quella che sa tutto, quella che pensa più veloce di tutti gli altri”, che tiene workshop sull’integrazione e lotta, anche in forme piuttosto maniacali, contro il nazismo in rete. Quella di Hani, segretaria sfruttata ma felice, che riesce perfino a ottenere un aumento di stipendio.
Ascoltare Kasih

Vorremmo parlarci con Kasih, conoscerla meglio, confrontarci con lei sull’integrazione e sul razzismo. Vorremmo rimediare anche noi al nostro “fallimento sul razzismo”, riecheggiando una citazione che appare nel libro. Ed ecco, per rimediare, già ascoltare persone come Kasih aiuterebbe. È da qui, anche, che si capisce quanto il lavoro di Shida Bazyar sia riuscito, un romanzo compiuto che non è solo una storia ben raccontata, ma una profonda riflessione sull’immigrazione di un’autrice che sa benissimo di cosa parla, nata lei stessa in Germania da genitori fuggiti dall’Iran della rivoluzione islamica.